«Aiuto a morire»: così possiamo tradurre letteralmente il termine tedesco che definisce la morte assistita, o semplicemente l’eutanasia. Parola quest’ultima che esiste anche in tedesco –
euthanasie – ma che nessuno in Germania, dalla fine della Seconda guerra mondiale, osa più pronunciare. L’eutanasia fu praticata originariamente dai nazisti attraverso un programma che prevedeva la soppressione di persone affette da malattie genetiche inguaribili o da disabilità fisiche o mentali più o meno gravi. Il programma prese il nome di «Aktion T4»: si stima che la sua attuazione portò all’uccisione di circa 200mila persone. Dopo il processo di Norimberga, dove vennero rivelati i particolari del programma, il concetto di eutanasia sembrava spartito dalla società tedesca. Ma a 70 anni di distanza il tema e la parola – pur sotto altra forma e significato – sono tornati nel dibattito della politica e dell’opinione pubbica.
Da alcuni anni il Bundestag – la camera bassa del Parlamento – sta discutendo sull’introduzione di una legge che regoli lo
Sterbehilfe. Un gruppo trasversale di politici ha lanciato il tema. Sul tavolo prima c’erano quattro proposte di legge, ora ne rimane una sola, i principali sostenitori sono il cristiano-democratico Peter Hintze e i socialdemocratici Carola Reimann und Karl Lauterbach. Il testo dovrebbe essere sottoposto al Bundestag entro il prossimo novembre, ma fare previsioni sulla sua approvazione è molto difficile. Sul tema, infatti, ogni partito ha lasciato piena libertà di scelta a ogni singolo deputato. La tesi dei sostenitori della normativa che regolerebbe il suicidio assistito è molto semplice: se la legge che tutela la vita umana «causa sofferenza» allora quella stessa legge «viola la dignità dell’uomo». Esponenti dei principali partiti tedeschi hanno affermato che «un essere umano che soffre di un dolore acuto dovrebbe essere in grado di decidere quando quel dolore è insopportabile». Da qui la proposta di legalizzare il suicidio assistito, cercando un modo per non minare il rapporto di fiducia tra medico e paziente. La proposta, infatti, prevede alcuni paletti. Il primo sembra scontato ma in realtà era obbligatorio: non tutti potranno richiedere di morire. Il paziente dovrà essere adulto, in grado di decidere della sua vita, affetto da malattia terminale che gli causi dolori insopportabili, anche se sottoposto a cure palliative. Il medico che autorizzerà il suicidio e che fornirà le medicine dovrà essere affiancato da un secondo medico, e solo il paziente potrà assumere autonomamente il farmaco letale. Patologie mentali e depressione non saranno sufficienti a giustificare lo
Sterbehilfe. Tutti questi vincoli sono ben noti: sono infatti gli stessi che limitavano le normative sull’eutanasia in Belgio e Olanda, vincoli ora disattesi perché l’eutanasia è intanto divenuta accessibile anche ai minori, ai malati mentali, ai depressi, ai malati non terminali e persino ai detenuti.
A spingere verso la "morte assistita " è stata anche la Corte federale di giustizia tedesca, che, dopo alcuni casi riportati anche dai media, con una sentenza senza precedenti ha autorizzato i familiari a decidere della vita e della morte dei pazienti in coma, anche quando questi non abbiano lasciato istruzioni in materia. Sono contrari alla legge molti politici dell’opposizione, e oltre al parere contrario delle Chiese cattolica ed evangelica, ha avuto molto risalto sui media l’opinione del presidente della Camera federale dei medici tedeschi, Ulrich Montgomery: «L’aiuto al suicidio non è fra i compiti dei medici». Il confronto politico, inoltre, si è spesso acceso su due opposte impostazioni giuridiche: la prima sostiene che il suicidio resta un reato, la seconda invece dice che non è reato, e quindi non può essere tale nemmeno l’aiuto a compierlo.
Negli ultmi giorni ha preso posizione contro la legge anche il ministro della Sanità, Hermann Grohe (Cdu) che tra l’altro ha redatto un documento in cui sostiene che il compito della società è quello di assicurare ai malati gravi e ai terminali tutto l’aiuto e il sostegno possibili. Grohe ha annunciato che il governo di Berlino è pronto a triplicare i suoi investimenti (da 200 a 600 milioni) per migliorare le cure palliative. In Germania ci sono più di 300 centri specializzati e la nuova legge dovrebbe consentire ai pazienti di usufruire di cure e assistenza anche a casa. Ma entro la fine dell’anno lo
Sterbehilfe potrebbe diventare legge. E in Germania tornerà a essere legale quell’
euthanasie che i nazisti definirono «morte per compassione».