«Scopo di questo lavoro è rappresentare la grandezza e la bellezza della famiglia, composta da un uomo, una donna e i loro figli. Un contesto che esalta al massimo la gioia di vivere e la felicità delle persone, perché le realizza pienamente». Non contro qualcuno ma per il bene di tutti, è stato scritto “Amare nella differenza. Le forme della sessualità e il pensiero cattolico”, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana e dall’editore Cantagalli. Lo spiega, in questa intervista ad Avvenire, il sociologo Sergio Belardinelli, docente all’Università di Bologna e al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su matrimonio e famiglia, di cui è preside monsignor Livio Melina. I due studiosi sono anche i curatori dell’opera, uno “studio interdisciplinare” che si è avvalso del contributo di una trentina di esperti.Professore, qual è il filo rosso che lega tutti questi contributi?Il motivo di fondo di questo lavoro è cercare di mostrare, con fecondità, quale è la dimensione più vera che la Chiesa cattolica attribuisce al matrimonio e alla famiglia. Un contributo tanto più importante oggi, in presenza di una cultura che mostra la famiglia e i legami familiari come una sorta di gabbia, di limitazione della libertà personale. Non è così: la famiglia è gioia e libertà. È una cosa bella.Oggi tutti vogliono formare una famiglia, tanto che si parla addirittura di forme diverse di “famiglie”...Chiariamo subito un aspetto importante: questo libro non vuole fare polemica con nessuno e non è contro nessuno. Non è contro le coppie di fatto, né contro gli omosessuali. Non è certamente questo l’aspetto centrale di un lavoro che, invece, ha l’ambizione di mostrare come oggi ci sia più che mai bisogno di famiglia. E i primi ad averlo capito sono proprio i giovani, che la mettono in cima ai propri valori e desideri.Perché allora nel discorso pubblico si cerca in tutti i modi di sminuirne il significato, di svilirne la portata?Il discorso pubblico è inficiato da un mare di pregiudizi e il primo è proprio quello che vorrebbe una Chiesa che, quando esalta il valore della famiglia, diventa nemica dell’uomo e della sua libertà. Niente di più falso. Se c’è un luogo dove si impara a usare bene la propria libertà, è proprio la famiglia. Anche qui i fatti parlano chiaro: coloro che hanno maggiori possibilità di cavarsela nella vita, di coglierne le innumerevoli opportunità, sono coloro che hanno sperimentato relazioni familiari degne del nome. Oggi a essere messo in discussione è anche il concetto stesso di normalità. Perché, secondo lei?Normale è ciò che viene considerato tale dalla maggioranza delle persone. Se poi consideriamo che, per lungo tempo, a fare da guardiani a questa “normalità” ci sono stati i poliziotti e magari una psichiatria poliziesca, è comprensibile che la nozione di normalità diventi quanto meno indigesta. Può succedere così che semplicemente non la si riconosca più, oppure, come accade oggi, specialmente sul fronte della vita sessuale e della vita di coppia, che tutto diventi ugualmente “normale”.Che significa tutto questo rispetto alla cosiddetta questione omosessuale?C’è sicuramente un difetto antropologico nei discorsi di coloro che ritengono che il comportamento omosessuale sia semplicemente un modo come un altro di esprimere la nostra sessualità: un uso ideologico del concetto di natura assai simile a quello di coloro che magari considerano gli omosessuali come sub-umani, per via della loro inclinazione “contro natura”. Quando si parla di omosessuali o di omosessualità occorre che sia ben chiaro che si sta parlando di persone come tutte le altre, dotate della stessa incommensurabile dignità per il semplice fatto di essere nati uomini e che certamente non vanno in alcun modo discriminate. Da questo, tuttavia, non consegue ciò che viene propugnato da una certa cultura oggi dominante, secondo la quale bisogna considerare l’omosessualità come una normalissima espressione della sessualità umana e conferire alle coppie omosessuali il diritto di sposarsi e mettere su famiglia al pari di quelle eterosessuali. Ci si lasci almeno la possibilità di dubitare che sia un diritto e di credere, invece, che la famiglia, pur in crisi e bistrattata, non abbia affatto perso la sua decisiva funzione sociale.
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