giovedì 22 dicembre 2016
Da meno di 8mila scatole vendute a più di 145mila in soli 4 anni: eliminato l’obbligo della ricetta per le maggiorenni, la «pillola dei 5 giorni dopo» dilaga. Con effetti ormai fuori controllo.
L'invasione di EllaOne, la pillola (troppo) facile
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Aborti volontari in calo e aumento vertiginoso del consumo di "pillola dei 5 giorni dopo". Secondo i dati del Ministero della Salute diffusi nei giorni scorsi nel 2015 il numero di interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) è stato inferiore a 90mila, in diminuzione del 9,3% rispetto al 2014. I dati delle vendite del farmaco a base di Ulipristal acetato (EllaOne) segnano invece un incremento significativo rispetto agli anni precedenti: dalle 7.796 confezioni del 2012 si è passati a 145.101 nel 2015. «Il maggior decremento di Ivg osservato nel 2015 – si rileva nella relazione sull’attuazione della legge 194 – in particolare tra il secondo e terzo trimestre potrebbe essere almeno in parte collegato alla determina Aifa del 21 aprile 2015 che elimina, per le maggiorenni, l’obbligo di prescrizione medica dell’Ulipristal acetato».

In sostanza, la diminuzione degli aborti sarebbe in una certa misura da attribuire all’uso della pillola dei cinque giorni dopo. Il legame non poteva che soddisfare la Società medica italiana di contraccezione (Smic) che chiede che le farmacie non siano mai sprovviste della pillola che evita la gravidanza o la interrompe se c’è già stato concepimento: «Essendo un farmaco senza obbligo di prescrizione, EllaOne è già disponibile ovunque. Dunque, quella della Smic è solo una rivendicazione molto ideologica che, se venisse attuata, trasformerebbe EllaOne in un farmaco essenziale – obietta il farmacologo Mario Eandi –. Quando un farmaco è libero, ed è propagandato come un prodotto che impedisce una gravidanza, l’uso ovviamente aumenta». Eandi Resto ritiene che «il peso di un’eventuale influenza di un aumento del consumo di pillole sul numero di aborti andrebbe stimata anche attraverso una correlazione con altri fattori che non sono stati posti sotto controllo. In base alle statistiche – aggiunge – da molti anni c’è una tendenza alla diminuzione e solo una parte viene accelerata dall’uso della pillola».

Per il presidente dell’Associazione ginecologi cattolici (Aigoc) Giuseppe Noia «la contemporanea notevole diminuzione del numero dei nati vivi (473.461 nel 2015) e del tasso di fecondità (35,4 nati vivi su mille donne fra 15 e 49 anni) ci inducono ad affermare che la diminuzione degli aborti provocati è solo apparente. Gli aborti prodotti dalle 145.101 confezioni di EllaOne acquistate nel 2015, considerando un tasso di concepimento del 20%, hanno provocato almeno 27.424 aborti. A questi vanno aggiunti quelli provocati dalla pillola del giorno dopo (Norlevo), dalla spirale (Iud), dalle pillole e dai progestinici nelle varie formulazioni». «Un maggior uso di contraccezione non significa minor ricorso all’aborto – sottolinea dal canto suo Filippo Maria Boscia, presidente nazionale dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci) –, il trend a mio avviso decresce per la persistenza degli aborti compiuti al di fuori della legge 194, attraverso metodiche impropriamente chiamate contraccettive ma che in realtà agiscono come abortivi. A oggi, tutti questi farmaci sono diventati metodi di pianificazione delle nascite. Si tratta di un problema di grave pericolo per le donne e per la salute riproduttiva della giovanissime. In realtà, nessuno ha rimosso le cause che possano favorire le nascite e neanche si è posto un controllo sui fallimenti delle azioni dei cosiddetti contraccettivi».

Il dato di maggior rilievo sociale, ribadisce il sociologo dell’Università la Sapienza Luigi Frudà, «è costituito dall’incrocio dei casi di interruzione volontarie di gravidanza con la situazione occupazionale. Valuto allarmante il fatto che su tutte le Ivg (87.639 nel 2015) quasi il 43% (36.600) è derivato da donne occupate: una conferma, ulteriore e drammatica, che la gravidanza costituisce un ostacolo, una difficoltà, un problema in un contesto di occupazione. La disoccupazione si lega a un dato del 21% di Ivg».

Al di là dei numeri, non resta comunque in secondo piano il senso di sofferenza e di solitudine che spinge molte donne ad abortire. «Viviamo in una società che non si preoccupa di educazione affettiva, intesa come la conoscenza della nostra vita emozionale a partire dal concepimento – sottolinea la psicoterapeuta Giuliana Mieli –. Le persone seguono le mode, c’è una certa facilità a incontrare rapporti sessuali, ci si sente inadeguati se non si hanno rapporti molto precocemente. È fondamentale, invece, che il bambino possa capire crescendo che la nostra vita emozionale è finalizzata alla ricerca di rapporti solidi, significativi e profondi che tolgono l’uomo dal senso di insicurezza che gli procura il vivere. E impari che l’amore ha aspetti di fatica e tolleranza. Bisogna educare i ragazzi a scoprire il senso di un progetto di vita».
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