Il valore di una testimonianza, che è doveroso conoscere, e auspicabilmente apprezzare e favorire. Questo il significato di una panoramica sui Centri di aiuto alla vita in Lombardia, che avviamo oggi. «Noi documentiamo che in una cultura che dice che quanto una donna decide di abortire non c’è nulla da fare, in realtà – nel massimo rispetto della libertà – è possibile offrire loro un aiuto ed evitare il dramma dell’aborto. E in questo modo renderle felici». È l’opinione – fondata sui fatti – di Paolo Picco, presidente di Federvita Lombardia, il coordinamento regionale dei 58 Centri di aiuto lombardi (e di 40 sedi del Movimento per la vita e di 17 case di accoglienza). A confermare che l’azione delle centinaia e centinaia di volontari sparsi per la tutta la regione (ma anche nel resto del Paese) è vissuta come un bene e un vantaggio per le donne, c’è una frase, che molte volontarie ripetono: «Abbiamo talvolta incontrato donne alle prese con il trauma dell’aborto, e cerchiamo di aiutarle. Ma nessuna di quelle che ha tenuto il suo bambino è tornata da noi rimproverandoci. Tutte sono soddisfatte di avere il loro bambino». La Lombardia non vanta solo primati economici. Nella regione più popolosa d’Italia, si è registrato nel 2012 il maggior numero di bambini nati grazie all’aiuto dei Cav (48 ogni 100mila abitanti) sia di gestanti assistite (76 ogni 100mila abitanti). «Il ruolo dei Cav in Lombardia – continua Picco – è consolidato anche da una diffusa buona collaborazione con le strutture pubbliche, consultori familiari, enti ospedalieri, Asl (pur permanendo singoli casi problematici, legati a situazioni locali)». E nel sistema di welfare ha dato finora ottima prova di sé «favorendo l’attività delle organizzazioni di volontariato (in generale, e non soltanto dei Cav): legge 23/99, bandi annuali, infine i Progetti Nasko e i Cresco. Già nella legge 23/99 – sottolinea Picco – c’era una particolare attenzione al concepito, che veniva dichiarato “componente della famiglia”: una affermazione di principio non da poco, e in questa ottica vanno inquadrate anche i successivi provvedimenti di supporto». Numerosi sono i Cav lombardi con una lunga storia alle spalle, di due o tre decenni: «La testimonianza dei Cav – aggiunge Picco – sta rendendo evidente che la difesa della vita nascente è qualcosa di realmente possibile e praticabile, anche nelle condizioni di difficoltà nelle quali la donna si viene a trovare». «Certamente molta strada è ancora da fare – conclude Picco –, ma la direttrice è certamente l’idea che la difesa della vita nascente non è mai contro la donna che sta diventando madre, anzi ne è una valorizzazione, ed è compito precipuo delle istituzioni pubbliche: il volontariato fa la sua parte, indica una strada, dimostra la fattibilit». Restano le molte difficoltà economiche, accresciuta dalla crisi generale: e «anche i fondi Nasko scontano qualche difficoltà ulteriore dalle nuove linee guida, ma necessarie per garantire serietà, che sono state introdotte quest’anno. La situazione è ancora in divenire, cioè richiederà ancora – in tempi da definirsi – qualche correzione di rotta. Il problema è che hanno allungato i tempi di concessione, cosa in sé negativa soprattutto in condizioni di urgenza».