Sono un ricercatore, non giudico colleghi che utilizzano metodi diversi dai miei. Ma rilevo che tanti studiosi che per anni si sono spesi cercando possibilità terapeutiche derivanti da cellule staminali embrionali stanno cambiando direzione, orientandosi verso nuovi approcci». Pur sorpreso dal «no» alla grande mobilitazione popolare in difesa dell’embrione, il professor Luigi Anastasìa, direttore del Laboratorio Cellule staminali per l’ingegneria tessutale dell’Irccs Policlinico San Donato (Milano), conserva il necessario distacco dello scienziato «per non far prevalere le mie convinzioni personali».
Il verdetto europeo legittima, tra l’altro, l’uso di nuove staminali embrionali. Può cambiare qualcosa nei laboratori?Si sente spesso parlare di staminali embrionali, ma quanta confusione! In realtà la prima distinzione da fare è che ci sono le staminali embrionali di origine umana e quelle di altra origine: molti studi vengono sviluppati su queste ultime. Inoltre, va sfatata la convinzione secondo la quale la ricerca in questo campo parta sempre da staminali embrionali nuove; la stragrande maggioranza dei ricercatori che utilizza questa linea di analisi non fa altro che acquistare da una apposita banca statunitense cellule derivate dagli stessi embrioni di quasi 20 anni addietro.
Ma questo non cambia la sostanza...Sono dell’idea che la ricerca debba sempre camminare entro rigidi protocolli, anche di natura etica. Detto questo, parlano le evidenze scientifiche.
Ovvero?Se gruppi molto forti guardano alle embrionali come alle migliori cellule perché più potenti delle altre è anche vero che la letteratura scientifica ha più volte confermato che si tratta di cellule che, proprio in quanto troppo potenti, sono incontrollabili e danno origine a tumori. A differenza delle cellule adulte che, pur non costituendo la panacea di tutti i mali, si sono rivelate efficaci, per esempio, nella rigenerazione ossea o della cartilagine, o in terapie ematologiche.
Ha utilizzato nel suo laboratorio cellule embrionali?No.
Perché?Perché credo in strade diverse. Anche la creazione in laboratorio di cellule simili alle embrionali può causare grossi problemi perché, se non controllati, certi processi possono costituire l’origine di pratiche come la clonazione.
E allora?Ho sempre pensato che l’approccio più giusto sulla strada della rigenerazione non sia la terapia cellulare ma quella farmacologica, già oggi osservata in alcuni muscoli. Un altro approccio molto più che promettente deriva dalla terapia genica: si può iniettare in un tessuto un virus che porta un gene capace di attivare l’autorigenerazione. In molti casi non occorre iniettare cellule nuove ma "risvegliare" quelle già presenti. E questa è molto più di una speranza.