sabato 18 maggio 2024
Un panorama delle grandi sfide della bioetica lette secondo il pensiero del genetista morto 30 anni fa: a Roma il congresso internazionale della Fondazione che gli è intitolata
Jérôme Lejeune

Jérôme Lejeune - www.fondationlejeune.org

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Certe sfide attendono una risposta nell’immediato, capaci come sono di mettere in gioco l'integrità della vita. Ma quando è la scienza a procurare quelle sfide, a porre in dubbio l’incolumità della persona e far traballare le certezze, le domande prendono il sopravvento pure sull’opportunità di quei trattamenti.

Agli interrogativi sollevati dalle innovazioni della biotecnologia o della procreazione assistita tenta di replicare la bioetica. Ed è agli ultimissimi quesiti che guarda il convegno internazionale “Jérôme Lejeune e le sfide della bioetica nel XXI secolo”, a Roma venerdì 17 e sabato 18 maggio, promosso dalla Fondazione intitolata al grande genetista scomparso trent’anni fa, co-autore, insieme a Marthe Gautier, della scoperta della trisomia 21. La due giorni ha compiuto un’analisi delle tematiche che riguardano tutti, a cominciare dagli esseri più vulnerabili.

Incontro attuale
La sensibilità umana è negli ultimi anni fortemente scossa da sollecitazioni repentine che riguardano le malattie genetiche, la vita nascente e quella morente. «Il contesto internazionale – spiega Monica Lopez Barahona, presidente della cattedra internazionale di Bioetica Jérôme Lejeune – rende il tema di questo incontro particolarmente rilevante e attuale, in un momento in cui la Francia inserito nella sua Costituzione l’aborto come se fosse un diritto, e in cui il diritto fondamentale alla vita è messo in discussione da un numero sempre maggiore di legislazioni in tutto il mondo».

Apripista
Jérôme Lejeune non è solo considerato uno dei padri della genetica moderna ma rappresenta una figura di riferimento per quella parte di comunità scientifica che si interroga sulla vita e non si ferma alle suggestioni della ricerca. Con il suo lavoro il genetista ha mosso le coscienze di coloro che credevano nella correttezza dell’aborto terapeutico di fronte alla disabilità. L’individuazione della Trisomia 21 difatti ha aperto la strada alla possibilità di interrompere la gravidanza in caso di diagnosi prenatale. Per il suo contributo alla ricerca, Lejeune è stato il primo presidente della Pontificia accademia per la Vita, voluta nel 1994 da papa Giovanni Paolo II. «Per la Chiesa oggi è già venerabile», ricorda Robert Barron, vescovo della diocesi di Winona-Rochester (Minnesota) e fondatore del Word on Fire Catholic Ministries negli Stati Uniti, nel suo video messaggio al convegno, in cui sottolinea l’importanza dello scienziato francese che ha messo al centro del dibattito la concezione utilitaristica della tecnologia, capace di velare le scelte con appelli alla compassione e al progresso.

Testimonianze di familiari
Accanto alle relazioni degli esperti, nella due giorni si sono susseguite anche le testimonianze dei pazienti e dei familiari che hanno incontrato Lejeune. Fra questi, Domitília Antão, portoghese, madre di Pedro, affetto da Trisomia 21, che ricorda il medico e l’uomo. «Non posso dimenticare – afferma – il suo sguardo che mi ha toccato così profondamente. È stato il messaggero di Dio che ci ha fatto sentire Pedro come una grazia. Le sue parole sono state un balsamo per me che ero una madre sofferente». Di persona pacifica, parla Aude Dugast, postulatrice della causa di canonizzazione del genetista. «Nel corso degli anni – dice Dugast, che è delegata generale dell’Associazione degli amici di Lejeune – cresceva la sua ansia verso i bambini mai nati. Vedeva le migliaia di bambini morti per via della pillola del giorno dopo che chiamava “pesticida umano”. Era una sofferenza piena e una immensa pietà per i bambini e le madri che nessuno ha voluto salvare. Da qui, il suo impegno per la creazione della casa per le madri».

Da dono a oggetto di design
La questione antropologica nella vita quotidiana è il tema affrontato da Orlando Carter Snead, professore di Filosofia del diritto presso l’Università di Notre Dame e membro ordinario della Pontificia accademia per la Vita. «La bioetica pubblica – afferma – si occupa della vulnerabilità umana e riguarda le conseguenze della incarnazione umana». Le questioni molteplici sono esplose in una vasta gamma di dibattiti che riguardano embrioni, aborto e fine vita. «Nel contesto della riproduzione assistita – osserva Snead – dovremmo rivedere il bambino come un dono e non come un oggetto di design». Per il docente, la visione antropologica nel panorama attuale si avvicina all’individualismo espressivo, «una visione – sottolinea – che non può esprimere il senso della realtà vissuta, non considera la nostra natura incarnata e non dà senso alla debolezza umana».

Rischio eugenetico
I dilemmi bioetici riguardano le nuove procedure per intervenire sulla malattia mitocondriale. «Quando i mitocondri sono difettosi – spiega Maureen Condic, docente di Neurobiologia dell’Università dello Utah, membro ordinario della Pontificia accademia per la Vita – l’energia non viene più prodotta in modo efficiente. Ciò ha conseguenze su cuore, fegato e reni. Gli scienziati sostituiscono i mitocondri della madre con quelli non difettosi. Alla base ci sono motivazioni compassionevoli ma anche finalità economiche. Queste tecniche costituiscono sperimentazioni pericolose, non etiche, che portano delle conseguenze, come il trasferimento pronucleare, una procedura svolta in vitro che provoca vari problemi di salute che si verificano durante la vita del bambino». In più i rischi connessi al trasferimento richiedono la produzione di un gran numero di embrioni che vengono selezionati e in parte distrutti.

Chimere
In vari laboratori nel mondo ci sono esperimenti sulle chimere, ovvero combinazioni di cellule umane con altre provenienti da altre specie. La chimera uomo-animale è un’entità difficile da definire, che genera preoccupazioni etiche. I topi che hanno ricevuto l’innesto di cellule umane sono più intelligenti, ma tale tecnica è ancora da studiare in maniera approfondita poiché non sono ancora note le conseguenze di ciò che si sta producendo.

Verità da comunicare
La diagnosi prenatale di malattie genetiche rappresenta un lutto per i genitori in attesa. In questi momenti il medico non può scomparire ma dovrebbe rimanere accanto alla coppia e instaurare un rapporto di fiducia che li accompagni. «Spesso si assiste alla comunicazione di una verità solo diagnostica e prognostica – rammenta Maria Luisa Di Pietro, professoressa associata di Medicina legale presso l’Università Cattolica di Roma e direttrice del Centro ricerca e studi sulla salute procreativa –, che non tiene conto della realtà del piccolo paziente e della sensibilità dei genitori. Eppure dovrebbe essere chiaro che la verità della medicina è ben diversa dalle altre forme di verità. È una verità che va offerta solo dopo aver preparato a riceverla, e che va collocata all’interno di una verità più grande, esistenziale. Deve essere sempre aperta alla speranza perché non solo è più grande di ogni eventuale patologia, ma anche della stessa vita della singola persona».

Vademecum
Sul fine vita in neonatologia, negli anni si sono succeduti casi che hanno interrogato la scienza e l’etica. Un vademecum sulle decisioni in rianimazione neonatale è stato illustrato da Carlo Bellieni, docente associato di Pediatria presso l’Università di Siena. Fra i punti citati, l’affermazione che il genitore è tutore e non sovrano: «È vero che leggiamo di casi in cui l’ospedale sceglie di sospendere le cure contro il parere dei genitori. Ma può anche succedere il contrario. Il genitore può avere un conflitto di interessi con la sopravvivenza del figlio o può non essere in grado di capire dettagli medici che i dottori hanno impiegato anni a studiare. Quindi le decisioni vanno prese collegialmente su basi più oggettive possibili».

Ricerche in corso
Scoperte e applicazioni sono al centro del dibattito su neuroscienze e neurobioetica. «Oggi – illustra Alberto Carrara, decano della facoltà di Filosofia e coordinatore del gruppo di Neurobioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum – con MindGpt, una tecnica che ibrida la tecnologia della risonanza magnetica funzionale con il chatbot Llm, riusciamo a decodificare le basi materiali del nostro pensiero, in una sorta di “lettura della mente”. Attraverso la storia delle neuroscienze si coglie l'importanza della neurobioetica quale riflessione sistematica e informata sulle neuroscienze e sulle loro interpretazioni, allo scopo di migliorare la nostra comprensione di noi stessi e delle sfide odierne: dal senso dei correlati neurologici della coscienza e della volontà libera all'abuso di sostanze neurotrope, sino alle questioni antropologiche ed etiche dell'uso dei cosiddetti organoidi cerebrali e dell'intelligenza organoide».

Interesse di chi?
Nel caso della maternità surrogata, l’interesse del bambino viene utilizzato dai fautori della pratica quale giustificazione del riconoscimento del rapporto di filiazione fra il committente e il genitore di intenzione. «La Corte europea dei diritti dell’uomo – ha illustrato Aude Mirkovic, ordinario di Diritto privato dell’Università di Parigi Saclay, direttore di Juristes pour l’enfance – al momento sta valutando un progetto che renda obbligatoria la filiazione del bambino. In realtà è la violazione della filiazione che viene ratificata perché viene cancellata la madre del bambino, in favore del padre e della madre di intenzione. Il bambino che viene al mondo conosce una sola madre, quella che l’ha portato in grembo, anche se è frutto di un bricolage genetico. Non è la situazione del bambino che viene regolarizzata ma è quella di chi l’ha commissionato. È cinico che l’interesse del bambino venga usato come pretesto per regolarizzare la situazione. Non c’è niente che ridarà al bambino un’affiliazione chiara e che lenirà lo choc dell’interruzione del legame con la madre surrogata. Le parti che fanno parte del contratto si comportano come prioritari, l’amore promesso al bambino non cambia questa realtà».

Disforia di genere
Ampio è poi il dibattito sulla transizione di genere. «Si contano circa 300mila giovani transgender negli Stati Uniti», illustra Alfonso Oliva, chirurgo plastico e ricostruttivo, tesoriere dell’Associazione medica cattolica americana, che rileva come ci siano 45mila persone che hanno iniziato il processo di detransizione perché, dopo gli interventi di chirurgia, intendono tornare indietro. «La giustificazione che diamo alla transizione è il tentativo di alleviare la disforia di genere e prevenire i casi di suicidio. Le operazioni chirurgiche hanno tante complicanze. Ci sono pochi studi che mostrano i benefici psicologici e quelli esistenti mostrano che sono solo all’inizio». Ma un adolescente può essere veramente cosciente di quello che sta facendo? «La risposta della psicologia è no», risponde Tarsio Perez, professore di Psicologia e bioetica dell’Università Francisco de Vitoria di Madrid. «Gli adolescenti – riconosce – hanno tante difficoltà durante i processi decisionali. È normale che un adolescente non stia bene con il proprio corpo. Se non ci preoccupiamo dei problemi che hanno avuto nel loro sviluppo non possiamo aiutarli».

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