Ma quando andrà in pensione la chemioterapia? Il sorriso amaro di chi vorrebbe poter dare una risposta definitiva dura un attimo. Poi, lo sguardo di Alessandro Gianni torna concentrato e quasi severo. Più che alla speranza, il direttore della Scuola di specializzazione in oncologia medica dell’Università di Milano e della Struttura complessa di "Oncologia 2" dell’Istituto nazionale dei tumori del capoluogo, ricorre ai dati di fatto: «Anche i nuovi farmaci – dice – sono in molti casi un tipo di chemioterapia. Qui bisogna fare una distinzione tra farmaci tossici e farmaci ben tollerati, semplici da assumere e compatibili con terapie prolungate. Siamo ancora lontani dal curare i tumori con pillole per bocca quasi senza effetti collaterali come si fa, per esempio, per l’ipertensione arteriosa. Ma in alcuni casi ci stiamo avvicinando molto a questo ideale di terapia medica semplice, efficace e sostenibile per lunghi periodi. Allora le rivolto la domanda e dico: lunga vita a questa chemioterapia».
Professore, perché ci ammaliamo sempre più di cancro?Vorrei fare una precisazione. Che il numero di nuovi casi sia aumentato nel lungo periodo (ultimi 30 anni) è indiscutibile: negli Usa nel 1975 l’incidenza annuale di tumori era di circa 400 casi per 100.000 abitanti, mentre nel 2006 (ultimo anno valutabile con accuratezza) questo valore ha superato i 450 casi. Se però consideriamo gli anni più recenti, assistiamo a una, seppur lieve, significativa riduzione, dell’1,3% all’anno negli uomini e dello 0,5% nelle donne. Detto questo, resta il fatto che l’uomo moderno si ammala di più di cancro rispetto ai suoi nonni (e bisnonni). La spiegazione, se restiamo sulle generali, non è difficile: i tumori sono causati (almeno per le forme più comuni) da mutazioni provocate da cancerogeni presenti nell’ambiente. Più a lungo rimaniamo esposti a questi cancerogeni, maggiori sono le probabilità di ammalarci. In estrema sintesi, il cancro è una malattia della vecchiaia e oggi viviamo più a lungo dei nostri avi.
Dopo alcuni anni di incertezze e di speranze non sempre ben riposte, per molte patologie tumorali, genetiche e neurodegenerative sembra schiudersi un momento di interessanti prospettive per la ricerca. E anche in campo diagnostico i progressi sembrano correre. Concorda o la domanda è un po’ troppo ottimistica?Personalmente sono ottimista. Non molti anni fa, autorevoli commentatori erano giunti alla conclusione che la "guerra contro il cancro" (dichiarata da Richard Nixon in una storica seduta alla Casa Bianca nel Natale 1971) era stata persa. Dopo miliardi di investimenti in ricerca il cancro, alla fine del XX secolo, mieteva più vittime di 30 anni prima. Ma questo atteggiamento pessimista non teneva conto del fatto che grazie a quegli investimenti è stato possibile conoscere il nemico come mai in precedenza, e dare il via alla "rivoluzione biotecnologica" creando le premesse per una inevitabile vittoria finale.
Può farci un esempio di queste premesse?Il primo esempio di ciò che potremo attenderci è rappresentato dalla terapia col farmaco imatinib (il primo figlio della rivoluzione biotecnologica) nella leucemia mieloide cronica. Grazie all’imatinib oggi la stragrande maggioranza dei pazienti conduce, a 10 anni, una vita normale, mentre prima del 2001 (anno di registrazione del farmaco) i malati morivano quasi invariabilmente nel giro di pochi anni.
Vuol dire che la medicina è pronta a sferrare un attacco decisivo?Io direi che finora ci siamo equipaggiati per combattere, mentre le operazioni belliche vere e proprie cominciano solo adesso.
E quanto potranno durare?Credo che nessuno possa oggi rispondere con esattezza. Scommettere in 1, 5 o 10 anni è più un vaticinio che una previsione scientifica. Quello di cui sono assolutamente certo è che le nuove terapie sconfiggeranno il cancro.
Eppure c’è qualcuno, oltreoceano, che certi tempi sembra esserseli dati…So bene che in uno dei principali centri di ricerca oncologica, l’M.D. Anderson Cancer Center di Huston, hanno da poco lanciato un ambizioso programma,
The Moon Shot to Cure Cancer, uno sforzo destinato, nelle intenzioni, a guarire il cancro. Come fu per il programma spaziale di Robert Kennedy che è riuscito, in 10 anni, a portare l’uomo sulla luna. Ma rispetto alla luna il tumore è un insieme di bersagli sfuggenti, ed è veramente azzardato prevedere se entro 10 anni ne avremo centrati i più comuni (i così detti "big killers").
Negli ultimi tempi si sente parlare anche di sperimentazione di vaccini, gran parte dei quali proprio in ambito oncologico: cosa possiamo aspettarci da questa strada?I vaccini, e l’immunoterapia in genere, sono una grande speranza. Il sistema immunitario è la principale difesa nei confronti delle malattie infettive e, in misura da definire, anche dei tumori. Man mano che conosciamo meglio il funzionamento del sistema immunitario, diventiamo capaci di sfruttarne le straordinarie capacità terapeutiche. Alcuni successi sono già ben documentati: si tratta di anticorpi monoclonali dotati di tossicità diretta nei confronti di tumori come linfomi o carcinoma mammario, o di farmaci che stimolano l’attività antitumorale dei linfociti, o ancora di manipolazioni genetiche dei linfociti. L’immunoterapia promette molto in termini di grande efficacia antitumorale accoppiata a una grande selettività d’azione (e quindi ad una limitata o minima tossicità).
Quali sono le sperimentazioni che danno maggiori speranze?I maggiori successi nella cura medica del cancro verranno dall’impiego combinato e razionale dei nuovi farmaci e dall’immunoterapia.