Alcune audizioni di esperti, il dibattito sul testo, gli emendamenti poi l’invio all’aula per il sì definitivo. In Commissione Sanità del Senato, dov’è iniziato l’iter della legge sul biotestamento approvata il 20 aprile alla Camera in prima lettura, le intenzioni della relatrice Emilia De Biasi (Pd) sono chiare: ascoltare tutti ma senza indugiare troppo, con l’obiettivo di approvare la legge entro fine giugno nella formulazione con la quale è uscita da Montecitorio.
Il varo senza correzioni avrebbe come conseguenza ovvia l’entrata in vigore immediata di un provvedimento come quello sulle Dat (Disposizioni anticipate di trattamento) attorno al quale gravano però ancora numerosi dubbi giuridici, etici e clinici.
Sul calendario di Palazzo Madama dunque la legge sul fine vita segna le sue prime due date significative: martedì 2 maggio l’incardinamento in XII Commissione, mercoledì 3 maggio l’ufficio di presidenza chiamato a decidere il calendario delle audizioni e, di conseguenza, una prima ipotesi di tempi per una legge che – secondo alcuni – non è priva di possibili applicazioni in senso eutanasico, anche oltre le intenzioni di chi l’ha proposta.
Suicidio assistito di dj Fabo, archiviata l'autodenuncia di Cappato
Che non si possa mettere la mano sul fuoco su interpretazioni rischiose lo dimostrano le motivazioni con le quali i pm di Milano Tiziana Siciliano e Sara Arduini hanno chiesto l’archiviazione per Marco Cappato, che si era autodenunciato per aver accompagnato Fabiano Antoniani ("dj Fabo") in Svizzera dove il 27 febbraio era morto dopo essersi inoculato una sostanza letale in una struttura specializzata: «Le pratiche di suicidio assistito – argomentano ora i magistrati milanesi – non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile o indegna dal malato stesso».
Tradotto: a certe condizioni, farsi uccidere non è contro la vita. E se Fabo non era malato terminale, la valutazione del livello di sofferenza oltre il quale ci sarebbe un diritto a ottenere il suicidio assistito (e dunque – perché no? – anche l’eutanasia, se ciò che conta è morire) appare del tutto incerta. Per i pm la giurisprudenza italiana avrebbe sinora «inteso affiancare al diritto alla vita tout court il diritto alla dignità della vita inteso come sinonimo dell'umana dignità».
E quindi si potrebbe ottenere la morte ritenendo a proprio giudizio che sia venuta meno la dignità. Intanto, di evidente nelle motivazioni di questa richiesta al Tribunale di Milano c’è una certezza: che la legge sulle Dat uscita dalla Camera non autorizza affatto questa lettura dei giudici milanesi, ma purtroppo neppure la impedisce, spostata com’è sull’autodeterminazione del paziente come criterio assoluto di riferimento. Un’attenta riflessione a questo punto è indispensabile tra i senatori. Anche tra chi ritiene che la legge sulle Dat non possa dare adito a letture ambigue.
Calabrò: aberrante la motivazione dei pm milanesi
«È a dir poco aberrante che i pm milanesi, nella richiesta di archiviazione per Marco Cappato, liquidino il suicidio assistito come “agevolazione dell'esercizio del diritto alla dignità”. C’è qualcosa che inizia seriamente a scricchiolare se si arriva a considerare il suicidio assistito come gesto nobile. Abbiamo fiducia che il gip respinga la richiesta dei magistrati, tenendo in considerazione che è in dirittura d’arrivo una legge che vieta espressamente il suicidio assistito; che si fermi sul nascere l’errore o meglio l’orrore di far prevalere il diritto all’autodeterminazione, anche andando contro il codice penale e uno stato di diritto che non può essere ridotto a sommatoria di desideri individuali».
È quanto afferma Raffaele Calabrò, parlamentare di AP e relatore di minoranza sulla legge sulle Dat, appena approvata dalla Camera dei Deputati e ora all’esame del Senato.