Una via d’uscita agli interventi d’emergenza subito dopo la nascita. Far tesoro, insomma, del legame madre-bambino per dare una speranza in più a quel piccolo in grembo che ha un quadro clinico complesso. Un centro, il primo in Europa, che usando la tecnica Exit (
ex utero intrapartum therapy) trasforma un parto difficile in una procedura controllata con un équipe di quindici specialisti pediatrici simultaneamente al lavoro. Due eccellenze mediche che a Roma si uniscono per rendere possibile tutto questo, anche quando le risorse per la sanità sono scarse. La nuova frontiera della chirurgia perinatale si chiama Centro Exit ed è l’esperimento messo in piedi dal Policlinico universitario Gemelli e dall’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma.Una notizia accolta con soddisfazione anche dal ministro per la Salute, Renato Balduzzi, che ribadisce la priorità di offrire «attenta considerazione per i bisogni dei piccoli pazienti e delle loro famiglie». Ma il responsabile del dicastero va anche oltre, invitando i due ospedali a proseguire tutti insieme per «garantire un’assistenza efficace e sicura», fornendo risposte immediate «in termini di appropriatezza e qualità».I primi successi sono grandi quanto il sorriso di due bambini, nati qualche settimana fa con gravi malformazioni. L’alleanza tra medici «è la prova che si può fare innovazione anche senza gravare sui costi», dice il direttore del Gemelli Maurizio Guizzardi, unendo le migliori competenze «per la tangibile tutela della vita nascente». L’innovazione sta proprio nel fatto, gli fa eco il suo omologo del Bambino Gesù Giuseppe Profiti, di aver dato prova che «combinare le eccellenze già presenti nel sistema generi di per sé valore clinico e scientifico aggiuntivo», restituendo al momento del parto «il senso del prodigio della vita».A permettere agli specialisti di operare con calma già durante il cesareo sono proprio il cordone ombelicale e la placenta ancora attaccati, che consentono al nascituro di avere ossigenazione e nutrimento per tutto il periodo dell’intervento. Si ha tempo poco più di un’ora, così, con il nascituro a metà tra il mondo esterno e l’utero materno, per correggere alcune malformazioni fetali che ostruirebbero la spontanea respirazione del piccolo. Esperienze sporadiche, già praticate in qualche ospedale italiano, che da oggi invece diventeranno il fiore all’occhiello della medicina romana insieme a un percorso di accompagnamento psicologico dei genitori. Le patologie di ostruzione delle vie aeree (quelle per cui l’intervento con tecnica Exit è consigliato) colpiscono nel nostro Paese un neonato su 15mila, per cui il nuovo centro capitolino potrebbe avere un potenziale di oltre 20-30 interventi l’anno. Troppo spesso, tuttavia, davanti a una diagnosi infausta, presi dalla disperazione, i genitori scelgono la strada dell’aborto. Questo approccio sul feto, invece, dice il direttore del dipartimento di Neonatologia del nosocomio pediatrico romano, Pietro Bagolan, «permette una riduzione della mortalità dal 56-60% all’8-10%». I numeri, per adesso, sono ancora limitati. Il centro però ha posto un primo mattone per un progetto molto più ambizioso: eseguire interventi intrauterini durante la gravidanza. Non sono troppo lontani, perciò, i tempi in cui, dopo una procedura del genere, sarà possibile richiudere la placenta e completare tranquillamente la gestazione. Con questa tecnica, «si sposta la terapia sempre più vicino al momento del parto - spiega difatti Giovanni Scambia, il direttore del dipartimento Tutela della salute della donna e della vita nascente del Gemelli - l’obiettivo è portarla direttamente dentro l’utero».