Scenderanno in piazza il 19 settembre i ricercatori italiani. Per chiedere che la legge delega con cui il Parlamento ha recepito la direttiva europea sulla sperimentazione sugli animali venga modificata. Il rischio? Che si blocchi la ricerca non solo nel nostro Paese ma anche nei progetti di collaborazione con l’Europa. A guardarla da fuori la vicenda della legge sulla sperimentazione sugli animali sembra la solita guerra tra tifosi: animalisti da una parte, scienziati crudeli dall’altra. Ma così non è: da alcuni anni la comunità scientifica studia come continuare a usare gli animali ma nel rispetto dei principi etici anche nei loro confronti. Ne è una dimostrazione pratica la Dichiarazione di Basilea, sottoscritta dalla comunità scientifica nel 2010. In essa si legge che di fronte a malattie infettive o allo studio del patrimonio genetico dell’uomo è inevitabile passare attraverso lo studio delle malattie sugli animali: ma per farlo occorre rispettare gli animali, usarli quando non è possibile che ci siano metodi alternativi, custodirli in modo rispettoso e non recare loro sofferenze. In un gioco di emendamenti e rimpalli tra commissioni, Camera e Senato, il recepimento della direttiva europea è avvenuto a fine luglio in modo concitato per evitare la non approvazione, con multa da 40 milioni di euro all’Italia da parte dell’Europa. Ora la palla è nel campo del governo cui spetta decidere se mantenere o togliere i paletti introdotti dal Parlamento. Tra i parlamentari che si sono battuti per impegnare il governo al cambiamento c’è Paola Binetti (Scelta civica): «Sono infondate – dice – alcune affermazioni che fanno gli animalisti sull’inutilità della sperimentazione sugli animali in virtù di metodi di ricerca che escluderebbero l’utilizzo di cavie. Ma la sperimentazione animale può essere indispensabile per la ricerca di base, a livello di corredo cromosomico tra uomini e animali esistono molte più similitudini che differenze».La frontiera successiva all’eliminazione degli animali dalle fasi di sperimentazione è quella di giocarla sugli embrioni umani, se non direttamente sull’uomo: «C’è stata da parte degli animalisti una enfasi inappropriata nei confronti delle metodiche alternative – spiega Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, che si è battuto strenuamente contro le norme restrittive –. Le cellule in vitro non sono così vicine all’uomo come lo sono gli animali». È noto che esistono progetti – come «Esnats», finanziato dall’Unione europea – sul fronte degli embrioni umani, "alternativa" agli animali che non pare meritevole di tutela né di campagne d’opinione. Ancora Garattini: «Fermare l’uso di cavie animali nella ricerca equivale a fare un torto ai malati. Quale logica irrazionale ha spinto a una decisione del genere? E poi, abbiamo bisogno di studiare le smart drugs quelle oggi più in auge nello sballo dei giovani. Di queste nuove droghe, dei loro possibili effetti non sappiamo proprio nulla. Bisogna farlo passando sugli animali». Andrà spiegato per bene ai promotori della petizione europea «Stop vivisection» che stanno promuovendo la raccolta di firme nei 28 Paesi della Ue per giungere a un milione di adesioni e tentare così di imporre il bando all’uso di animali nella ricerca scientifica. Con l’effetto indiretto di spalancare la porta agli esperimenti su embrioni umani o su persone usate come cavie (si pensi a poveri di Paesi senza tutele, disabili gravi, anziani, pazienti in stato di incoscienza, malati terminali...). La petizione, in tutto gemella alla contemporanea raccolta di firme per «Uno di noi», potrebbe sortire l’obiettivo paradossalmente opposto: si salvano gli animali, si rischia di aprire alla vivisezione umana. Spot radiofonici, testimonial di nome, il sostegno di una cultura mediatica pressoché omogenea che nel nome del doveroso rispetto per gli animali finisce per ignorare che la dignità dell’uomo è intangibile. Perché nessuno ha speso una parola per «Uno di noi», campagna che ha visto impegnate migliaia di persone in tutta Europa senza il benché minimo appoggio politico e mediatico (mezzi di comunicazione dei cattolici a parte)? Proteggiamo gli animali, ma anzitutto salviamo l’uomo.