martedì 11 giugno 2024
Il 18 giugno, alla vigilia della Giornata mondiale, in onda su RaiTre il racconto della vita di quattro malati che con le loro famiglie offrono una testimonianza eccezionale di attaccamento alla vita
Laura con la sua grande famiglia

Laura con la sua grande famiglia

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Sullo schermo per 52 minuti scorrono i ricordi del passato, delle persone care, ma anche i sogni e il significato della vita. Che continua a essere potente e capace di trasmettere amore anche se il corpo si ammala e resta immobile su un letto, e la voce non risponde più ai comandi. Eppure il pensiero è vivo, presente, desideroso di ascoltare e di farsi ascoltare. Come sia possibile riuscirci e incoraggiare persino gli altri, lo spiegano in modo diretto e senza retorica Julius, Pippo, Laura e Luigi, i 4 protagonisti del docufilm “Con un battito di ciglia” realizzato da Libero Produzioni in collaborazione con Rai Documentari, in onda martedì 18 giugno alle 23.15 su Rai3, in occasione della Giornata mondiale della Sla del 21 giugno.

E così si scopre che ad accomunare i protagonisti non c’è solo la voglia di comunicare e raccontare, ma soprattutto un ambiente familiare capace di stare accanto alla persona più fragile, senza mai farla sentire sola. La scoperta della diagnosi ha sconvolto le loro vite, ma non ha fermato la voglia di andare avanti. A cominciare da Luigi, 69 anni, ex chimico e poi imprenditore in campo meccanico e elettronico. Da quando, qualche anno fa, l’ex calciatore Stefano Borgonovo, affetto da Sla, gli ha regalato un computer a impulsi oculari, anche grazie alla collaborazione con la testata online Il Dialogo di Monza è diventato caporedattore del magazine “Scriveresistere”. Julius Neumann, che vive a Monza, è invece un ingegnere. La sua esperienza con la malattia l’ha raccontata nel libro “Il mio viaggio nella Sla”, scritto insieme ad Antonio Pinna.

Anche Laura Tangorra, 61 anni, milanese, laureata in scienza biologiche, non ha mai smesso di raccontarsi: ha scritto e pubblicato 8 libri oltre a curare una versione in lingua corrente dei Promessi Sposi. «La diagnosi è arrivata al secondo mese di gravidanza – racconta il marito Franco Beretta –. Eravamo allora una giovane famiglia con altri due figli di 9 e 12 anni che hanno dovuto cambiare il loro modo di vivere». Laura non rinuncia a far nascere Alice, la terzogenita, e affronta la malattia continuando a prendersi cura dei figli. «Mia moglie è una mamma molto presente e affettuosa – dice il marito –, nel giro di pochi anni però si è trovata a non riuscire neanche a muoversi. Abbiamo cercato di mantenere tutti gli equilibri, impegnandoci a far sì che tutto funzionasse nonostante questo grossissimo imprevisto e che Laura avesse un ruolo importante all’interno della famiglia». Insieme, sempre uniti, ci riescono e non perdono mai l’entusiasmo. «Posso continuare ancora a comandare» interviene lei a sorpresa grazie alla voce del computer. «Ha sentito cosa ha scritto mia moglie a mio discapito?», incalza subito lui scherzando. E pare di vederli ogni giorno mentre crescono i tre figli, e poi l’arrivo di due nipotini, con l’ironia e la gioia di una famiglia che si vuole bene. «È stato il nostro stile cercare di non stravolgere la nostra vita, già ricca prima della malattia, e mantenerla così anche dopo, con lo stesso entusiasmo – spiega Beretta –. La malattia non identifica la persona: se un individuo è sano di princìpi mantiene le sue doti e deve cercare di portarle avanti».

Vuole vivere appieno la propria quotidianità, anche se ora è immobilizzato a letto, anche Pippo Musso, palermitano di origine, trasferito da giovane a Milano con la famiglia, autore del libro autobiografico “Ci vediamo tra cent’anni”. «Ha lavorato come asfaltista di strade, ha respirato catrame per 40 anni – racconta la figlia Marica –. È sempre stato un uomo generoso, pronto ad aiutare tutti. Poi però subito dopo la pensione si è ammalato, e sapendo che non c’erano cure ha persino pensato di farla finita...». Poi, però, superati i momenti più difficili, ha deciso che avrebbe affrontato la malattia. «Sapeva che sarebbe andato incontro a una vita difficile – ricorda Marica –. Prima riusciva a camminare con il deambulatore, poi gli è servita la carrozzina, fino a quando i medici gli spiegano che un giorno sarebbe stata necessaria la tracheotomia». Pippo non ha dubbi: sarebbe stato quello il momento finale della sua vita. «E invece quando è arrivato quel giorno, e i medici gli hanno chiesto cosa fare, lui ha detto: “andiamo avanti”. Papà è sempre stato un uomo di fede, crede negli angeli, nell’aldilà, ma non voleva lasciarci. Il suo amore per i figli lo ha convinto a stare insieme a noi, nonostante sia immobilizzato e ricoverato in una struttura. Per noi la sua malattia non è mai stata un peso, glielo abbiamo sempre detto. Lo amiamo tutti. E lui lo sa».


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