Un'attività con gli ospiti del Serafico di Assisi
1- Nascita del Servizio Sanitario Nazionale e mancata realizzazione dell'aspirazione a rendere il diritto alla salute un diritto di tutti.
La nascita del Servizio sanitario nazionale e l'aspirazione degli Stati europei a rendere il diritto alla salute non un privilegio per pochi, ma un diritto di ciascuno, si colloca nel secondo dopoguerra.
Sul finire dell'800 nascono le prime forme previdenziali secondo la logica assicurativa (assicurazioni sociali obbligatorie). Nel 1883, Otto von Bismarck in Germania introdusse la prima forma di assistenza sociale contributiva, in cui i lavoratori versavano una quota del loro salario per tutelarsi dagli infortuni sul mondo del lavoro. In Italia, fino al 1978, anche l'assistenza sanitaria veniva gestita secondo criteri assicurativi attraverso le mutue. Un sistema confuso e soprattutto molto disuguale. Dalle relazioni alla Camera che hanno accompagnato la legge istitutiva del SSN italiano, sappiamo che all'epoca più di 5 milioni di persone non avevano accesso ai servizi sanitari.
È sotto gli occhi di tutti l’importanza del Servizio Sanitario Nazionale.
I sistemi sanitari nazionali nascono dopo la seconda guerra mondiale, per un senso di equità e di giustizia sociale e per tessere lo sviluppo dei Paesi.
Francesca Di Maolo durante il suo intervento al Convegno Cei di Pastorale della Salute a Verona - GF
Il primo Servizio Sanitario Nazionale nasce in Inghilterra ed è frutto del noto piano Beveridge secondo il quale lo Stato si sarebbe dovuto occupare del cittadino “dalla culla alla bara“ su quattro dimensioni principali: educazione, lavoro, sanità, assistenza.
Nel 1948 il Ministro della salute Bevan, in occasione dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale inglese, a chi gli chiedeva se era possibile realizzare un sistema sanitario in grado di prendersi cura dei cittadini “dalla culla alla bara”, rispondeva “Si, la malattia non è una maledizione, ma un evento che deve essere affrontato dall’efficienza di una società solidale”. La malattia non è una maledizione e la società tutta deve farsene carico.
Nacque così in tutta Europa il welfare State.
In Italia l’art. 32 della Costituzione afferma che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e nell'interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti“. Per la prima volta nella storia del costituzionalismo, la salute entrava in modo compiuto e consapevole in una costituzione statale, ma ci sono voluti quasi trenta anni per arrivare alla realizzazione del SSN con la legge 833 del 1978.
Tina Anselmi, all'epoca ministro della sanità, nel suo discorso alla Camera presentò così i quattro principi cardine su cui si fondava la riforma: “Globalità delle prestazioni, universalità dei destinatari, eguaglianza del trattamento, rispetto della dignità e della libertà della persona”
Prima dell’avvento del SSN, l’Italia era tra gli ultimi Paesi industrializzati e ora siamo tra i primi.
Cosa possiamo dire oggi dell'attuazione di questi principi cardine.
Sicuramente percepiamo che l’aspirazione di rendere possibile per tutti il diritto alla salute, come previsto dall’articolo 32 della nostra Costituzione, non si è tradotta in realtà.
Al convegno sulle povertà sanitarie che si è tenuto a Verona venerdì scorso, abbiamo appreso una serie di informazioni importanti sullo stato salute della nostra sanità.
La sociologa Ketty Vaccaro, responsabile area welfare e salute del Censis, ci ha detto che Il 7,6% degli italiani ha rinunciato nel 2023 a visite specialistiche e ad esami diagnostici: si tratta di 4,5 milioni di persone. La stessa ha poi spiegato che i più penalizzati sono i più poveri: “le persone in marginalità estrema o senza fissa dimora, ma anche i malati cronici che hanno bisogno di prestazioni ripetute nel tempo, e i residenti al sud“.
La spesa privata è in continua crescita e nel 2023 ha raggiunto il 24,4% del totale della spesa sanitaria
La medicina territoriale si trova limitata nelle risorse umane (mancano i medici per una prospettiva miope nella valutazione del bisogno) e condizionata dall’insufficienza dei finanziamenti (non adeguati alle reali necessità per un’efficace assistenza sanitaria).
In aggiunta a queste informazioni, voglio ora addentrarmi nel cuore della mia relazione, per rappresentarvi quanto l'accessibilità alle cure sia difficile per le persone con disabilità, specie per le persone con disabilità intellettiva.
2- L'accessibilità alle cure per le persone con disabilità.
La disabilità non è una malattia. La disabilità comporta dei limiti a volte molto gravi a livello sensoriale, fisico, psichico e intellettivo. Ma anche le persone con disabilità possono ammalarsi e avere necessità di accedere alle strutture ospedaliere per ragioni anche indipendenti dalla condizione di disabilità.
Una persona con disabilità può avere bisogno di fare delle analisi del sangue, ricorrere al pronto soccorso, andare dal dentista o fare una radiografia o altri esami clinici.
Sta di fatto che gli ospedali e i servizi sanitari sono pensati in funzione delle malattie, degli organi, e non in funzione delle persone, né delle persone con disabilità. L'organizzazione degli ospedali, prevalentemente, è costruita come un contenitore rigido per favorire l'efficienza, omologando gli utenti a modelli standard e chiedendo loro di adattarsi a questa rigidità. Ma alcune persone, per le loro caratteristiche, hanno esigenze che di solito non consideriamo per i pazienti adulti: ad es., per alcuni pazienti è importante la presenza di un familiare o di un assistente durante l'intera degenza, altri non riescono a sopportare i tempi di attesa, altri ancora hanno bisogno di tempo per ambientarsi in un nuovo contesto fisico. Dobbiamo anche considerare le difficoltà di comunicazione verbale e quindi dobbiamo essere in grado di trovare diversi modi per interfacciarci.
Il problema dell'accessibilità alle cure delle persone con disabilità non è solo un problema di barriere architettoniche, ma anche comunicazione, di relazione e di tipo diagnostico. Come fare una spirometria se la persona non collabora o un qualunque esame che richieda la collaborazione del paziente se lo stesso non è in grado di farlo?
Come fare una semplice radiografia o l'analisi del sangue, richiedendo al paziente di rimanere immobile se ha gravi disturbi del comportamento?
Le persone con disabilità, in particolare di tipo intellettivo, hanno maggiori difficoltà nell’individuazione e nella gestione delle condizioni cliniche anche non direttamente connesse ai loro bisogni.
Descrivere la situazione di accessibilità alle cure per le persone con disabilità non è facile, perché solo di recente la statistica ufficiale sta producendo dati sulla disabilità.
Vediamo insieme cosa sappiamo.
Dalle più recenti indagini conoscitive sui percorsi ospedalieri delle persone con disabilità emergono criticità significative relativamente alle attenzioni prestate dal Servizio sanitario nazionale nei loro confronti: in solo poco più di un terzo dei casi (36%) è previsto un flusso prioritario per i pazienti con disabilità in ambulatorio o in day hospital e solo il 16,8% delle strutture ha un punto unico di accoglienza. Considerando i diversi tipi di disabilità, sono rare le strutture con mappe a rilievo per persone non vedenti; quanto ai deficit intellettivi e cognitivi solo il 12,4 % delle strutture hanno attrezzato locali o percorsi adatti per visitare questi pazienti.
Una recente analisi della World Health Survey rivela che le persone con disabilità hanno il doppio di probabilità di accedere a strutture sanitarie che forniscono un’assistenza non adeguata alle loro esigenze, il triplo di probabilità di vedersi negate le cure e il quadruplo di probabilità di essere trattati in modo inappropriato (Model Disability Survey).
Le criticità sono spesso documentate e riportate come fossero un “destino annunciato” da subire, invece che come una sfida da affrontare.
Aggiungiamo a queste osservazioni che le persone con disabilità sono anche le più povere e quindi hanno difficoltà maggiore ad acquistare servizi sanitari privati. A novembre 2023 è stato pubblicato il primo rapporto di CBM e Fondazione Zancan su “Disabilità e povertà nelle famiglie italiane“. Dal rapporto emerge che le famiglie di persone con disabilità presentano un maggiore rischio di povertà o di esclusione sociale: nel 2022, in Italia era a rischio di povertà o esclusione sociale il 32,5% delle persone di 16 e più anni con disabilità (con gravi limitazioni nelle attività quotidiane), contro il 23,8% della popolazione totale. Dall'indagine è emerso che gli aiuti richiesti più frequentemente dalle persone con disabilità, perché non ricevuti o ricevuti in misura insufficiente rispetto ai bisogni, riguardano l’assistenza sociosanitaria e quella sociale per il 39% degli intervistati e solo per il 25% l'aiuto economico rappresenta la principale domanda di aiuto.
Nel 2021 l'Istituto Serafico decideva di promuovere un'indagine conoscitiva nelle diverse regioni italiane per comprendere meglio le difficoltà vissute nell’ambito dell’accesso alle cure dalle persone con disabilità, dalle loro famiglie e caregiver, mettendo in luce le attuali criticità del nostro sistema sanitario nazionale al fine di poter fornire risposte concrete ai bisogni reali delle persone più fragili. Ne è derivato che per oltre 8 persone su 10 (84,7%) le risposte fornite dal SSN alle persone con disabilità risultano inadeguate; per la metà del campione (49,8%) nelle strutture ospedaliere a cui si è rivolto non erano previsti percorsi prioritari per gestire i bisogni specifici dei pazienti disabili (solo il 13,6% ha dichiarato che erano previsti); oltre 1 persona su 3 ha dichiarato di aver incontrato barriere architettoniche all’interno delle strutture sanitarie (37,6%), proprio quelle strutture che dovrebbero accoglierle e curarle.
Quasi la metà del campione (45,3%) ha dichiarato che nella propria regione di residenza sono rare le strutture sanitarie in grado di fornire risposte efficaci ai bisogni di salute delle persone con disabilità, mentre per oltre 3 persone su 10 (36,7%) sono totalmente assenti; oltre 6 persone su 10 (63,3%) sono costrette ad effettuare visite specialistiche o cotrolli di routine al di fuori della propria regione. In particolare, quasi 8 persone su 10 (79,6%) devono rivolgersi a più di una struttura per effettuare visite e controlli e 9 persone su 10 (92,4%) devono rivolgersi fino a 5 strutture diverse. Nell'ambito de ricoveri ospedalieri e delle visite specialistiche, è risultato che tra le principali difficoltà riscontrate, quasi 6 persone su 10 (57,1%) hanno indicato le liste d’attesa per la prenotazione di visite e ricoveri; oltre 4 persone su 10 (45%) hanno evidenziato le lunghe ore di attesa per eseguire visite e controlli, 4 persone su 10 hanno lamentato criticità nel comunicare con il personale ospedaliero; quasi 4 persone su 10 (37,3%) ritengono che il personale ospedaliero non sia in grado di gestire i comportamenti problematici delle persone con disabilità; 3 persone su 10 (30,4%) lamentano difficoltà nella degenza ospedaliera. la maggioranza (78,5% del campione intervistato) ritiene che il personale sanitario non sia adeguatamente formato per far fronte ai bisogni delle persone più fragili.
Cosa chiedono le persone con disabilità per migliorare l'accessibilità alle cure? Tra gli aspetti ritenuti prioritari per migliorare l’accessibilità alle strutture sanitarie e alle cure per le persone con disabilità, l’indagine ha evidenziato che è necessario: adottare specifici protocolli per le persone con disabilità all’interno delle strutture sanitarie; adeguare l’offerta sanitaria ai bisogni di salute delle persone con disabilità; garantire la presenza di personale sanitario adeguatamente formato; ridurre le liste d’attesa per le visite diagnostiche/specialistiche; garantire l’accesso ai programmi di screening delle varie patologie; garantire equità nell’accesso alle cure; eliminare le barriere architettoniche all’interno delle strutture sanitarie; garantire tempi più lunghi per le visite.
In data 2 dicembre 2022 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato il rapporto sull'equità sanitaria per le persone con disabilità.
Si tratta di un documento importantissimo di cui però non parla nessuno.
Tale documento mostra che, a causa delle disuguaglianze sanitarie sistemiche e persistenti, molte persone con disabilità corrono il rischio di morire molto prima, anche fino a 20 anni prima, rispetto alle persone senza disabilità. Hanno un aumentato rischio di sviluppare condizioni croniche, con un rischio fino al doppio di asma, depressione, diabete, obesità, malattie orali e ictus.
Molte delle differenze negli esiti di salute non possono essere spiegate dalla condizione di salute sottostante o dalla menomazione, ma da fattori evitabili, quindi, iniqui e ingiusti.
Il rapporto mostra che il numero di persone con disabilità significative in tutto il mondo è salito a 1,3 miliardi (ovvero 1 persona su 6). Il rapporto sottolinea la necessità di un'azione urgente per affrontare le vaste disuguaglianze nella salute causate da elementi e fattori di ingiustizia all'interno dei sistemi sanitari.
Riconoscendo che tutti hanno lo stesso diritto al più alto standard di salute raggiungibile, il rapporto fornisce anche una dettagliata analisi economica sull'adozione di un approccio che includa la disabilità, evidenziando che investire in un settore sanitario che includa la disabilità è conveniente. L'OMS calcola che i governi potrebbero aspettarsi un ritorno di circa 10 dollari Usa per ogni dollaro investito nella prevenzione e nella cura delle malattie non trasmissibili che includono la disabilità. Garantire l'equità sanitaria per le persone con disabilità avrà anche vantaggi più ampi e può far avanzare le priorità sanitarie globali in 3 modi:
· l'equità sanitaria per tutti è fondamentale per raggiungere la copertura sanitaria universale;
· interventi di sanità pubblica inclusivi, amministrati equamente in diversi settori, possono contribuire allo sviluppo di popolazioni più sane;
· promuovere l'equità sanitaria per le persone con disabilità è una componente centrale in tutti gli sforzi per proteggere tutti nelle emergenze sanitarie.
Ridurre la disuguaglianza all'interno e tra i paesi è uno dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) (SDG 10) ed è fondamentale per altri obiettivi come porre fine alla povertà (SDG 1), porre fine alla fame (SDG 2), promuovere la buona salute e il benessere (SDG 3), garantire un'istruzione di qualità inclusiva ed equa (SDG 4) e raggiungere la parità di genere (SDG 5).
Nel rapporto del 2022 l'OMS non si limita ad analizzare la situazione di accessibilità alle cure delle persone con disabilità, ma richiama gli Stati a realizzare dieci punti strategici ai quali corrispondono 40 azioni complessive per raggiungere l’equità nell’assistenza sanitaria primaria (prevenzione, cura, riabilitazione e cure palliative) delle persone con disabilità (primary health care approach PHC).
Di seguito i dieci punti, e alcune delle 40 azioni proposte.
1. Impegno politico: dare priorità all'equità sanitaria per le persone con disabilità; stabilire un approccio alla salute basato sui diritti umani; integrare l'inclusione della disabilità nelle strategie sanitarie nazionali compresi i piani di preparazione e risposta alle emergenze sanitarie; istituire un comitato o un punto focale all'interno del Ministero della Salute per l'inclusione della disabilità.
2. Destinare risorse: includere nei bilanci sanitari i costi per rendere accessibili strutture e servizi.
3. Coinvolgere stakeholder e i fornitori del settore privato: coinvolgere le persone con disabilità e le loro organizzazioni rappresentative nei processi del settore sanitario; richiedere che i fornitori del settore privato sostengano la fornitura di servizi sanitari inclusivi per le persone con disabilità.
4. Realizzare modelli di assistenza: consentire l'erogazione di cure integrate incentrate sulle persone, accessibili e vicine al luogo in cui le persone vivono; investire maggiori risorse finanziarie in persone di supporto, interpreti e assistenti per soddisfare le esigenze sanitarie delle persone con disabilità. persone con disabilità; considerare l'intero spettro di servizi sanitari lungo un continuum di cure per le persone con disabilità; rafforzare i modelli di assistenza per i bambini con disabilità.
5. Formare personale sanitario e di assistenza: sviluppare competenze per l'inclusione della disabilità nella formazione di tutti gli operatori sanitari e assistenziali; formare tutto il personale non medico che lavora nel settore sanitario sulle questioni relative all'accessibilità e nella comunicazione; garantire la disponibilità di una forza lavoro qualificata nel settore sanitario e assistenziale; includere le persone con disabilità nel personale sanitario e assistenziale; garantire il consenso libero e informato alle persone con disabilità; fornire una formazione sull'inclusione della disabilità a tutti i fornitori di servizi sanitari.
6. Infrastrutture: passare ad un approccio basato sulla progettazione universale nello sviluppo o nella ristrutturazione di strutture e servizi sanitari; fornire sistemazioni adeguate e ragionevoli per le persone con disabilità sia nei contesti ambulatoriali che di ricovero.
7. Tecnologie digitali per la salute: adottare standard internazionali per l'accessibilità delle tecnologie sanitarie digitali.
8. Sistemi per il miglioramento della qualità delle cure: integrare le esigenze e le priorità specifiche delle persone con disabilità nei protocolli di sicurezza sanitaria esistenti. sicurezza sanitaria; considerare le esigenze specifiche delle persone con disabilità nei sistemi di monitoraggio dei percorsi di cura.
9. Monitoraggio e valutazione: creare un piano di monitoraggio e valutazione per l'inclusione della disabilità; integrare gli indicatori per l'inclusione della disabilità nei quadri di monitoraggio e valutazione dei sistemi sanitari nazionali. sistemi sanitari nazionali.
10. Politica sanitaria e ricerca: sviluppare una politica sanitaria nazionale e un'agenda di ricerca sui sistemi di disabilità.
3. Qualche riflessione generale sull'accessibilità alle cure.
Il medico e deputato Bruno Orsini, durante la discussione della legge 833/1978 affermava che l’istituzione del Ssn era “il punto di arrivo di un lungo processo e il punto di partenza per un lungo, difficile, ulteriore cammino“.
Al convegno di venerdì scorso sul tema della povertà sanitaria Americo Cicchetti direttore generale Programmazione sanitaria del Ministero della salute ha detto che la soluzione all'universalità non è mettere più soldi nel SSN, ma costruire un sistema che funzioni. Le differenze regionali non dipendono solo dai soldi (…) “L’Italia non ha mai speso più del 7% del Pil per la sanità, ma occorre equilibrare spesa previdenziale con spesa sanitaria: su una spesa per il welfare di 559 miliardi, il 13% del Pil viene destinato alle pensioni contro il 6,8% che va al Ssn”.
Il tema è proprio questo. E' in crisi non tanto il sistema sanitario, ma il sistema di welfare, o meglio di welfare state.
Il welfare state dalle teorie dell'economista Keines che già aveva intuito i punti deboli del sistema immaginando che presto avremmo dovuto coinvolgere l'intera società.
Sono duplici i punti di debolezza del welfare state che si basa sulla tassazione. Il primo è l’insostenibilità finanziaria, perché i costi del welfare hanno una progressione geometrica ma l'andamento della tassazione, quindi dei ricavi destinati a sostenere il welfare è una curva a campana. Più il tempo passa, più la differenza tra costi del welfare e costi derivanti dalla tassazione aumenta, e questo a prescindere dalla corruzione, dalla malagestio, e dalla organizzazione dei servizi. Ma c’è un secondo punto di debolezza – per me, almeno, più importante – che il modello di welfare state ha avuto ed è stata quella di deresponsabilizzare le persone, perché si diceva: “Ci pensa lo Stato”. Tu vedi uno per la strada che sta male e pensi: “Cosa c’entro io? Ci penserà: lo Stato. Io pago le tasse, mi sono già liquidato“.
Ci siamo dimenticati di principi cardine del nostro ordinamento democratico: il principio di solidarietà, necessario per realizzare i diritti fondamentali della persona e del principio cristiano e costituzionale della sussidiarietà.
Dobbiamo passare dal welfare state al welfare society, dove tutti sono chiamati a contribuire.
E' sbagliato il modo con cui ci approcciamo al problema: sanità pubblica o sanità privata? Ma perché la sanità privata accreditata non è pubblica? Non concorre forse alla realizzazione del bene pubblico salute?
Se insisteremo sulla via della sanità statale dovremo fare delle rinunce. A cosa rinunceremo dei quattro pilastri del welfare? Per aumentare le risorse alla sanità, toglieremo risorse alla scuola, alle pensioni, all'assistenza?
Io credo che dobbiamo andare nella direzione del welfare society dove tutti contribuiscono alla custodia della vita delle persone. Certo lo Stato farà la parte maggiore, ma noi non possiamo abdicare ai nostri doveri di singoli e di comunità.
C'è un'ultima riflessione che voglio fare e riguarda la politica.
La legge istitutiva del SSN n. 833 del 1978 fu approvata durante il IV Governo Andreotti con Tina Anselmi ministro della Sanità. Si trattava del Governo che ottenne la fiducia dopo il rapimento di Aldo Moro (16 marzo 1978). Restò in carica per un periodo breve, ma si trattò di un periodo fecondo in cui nacquero norme sostanziali come la legge Basaglia n.180 del 1978.
In un'intervista in occasione dei 25 anni dall'istituzione del SSN al Il Sole 24 ore Sanità, Tina Anselmi dichiarò: “In quegli anni, segnati da posizioni molto diversificate, sicuramente c'era lo scontro. E tuttavia esisteva un'adesione di fondo a quel principio sul quale è stata costruita la Riforma del Sistema sanitario italiano: l'adesione ai valori su cui costruire la tutela e il diritto del cittadino ad avere una garanzia da parte dello Stato per quanto riguarda la sua integrità. Per costruire un sistema che assumesse, come suo valore fondante, la tutela della persona“.
Sempre Tina Anselmi, avvertiva che “le conquiste raggiunte non sono mai per sempre . A chi resta il compito di rafforzarle o di distruggerle“.
Abbiamo bisogno di una politica che torni a fondarsi su valori forti, che sappia dialogare per la realizzazione del bene comune.
Una politica che sia la “più alta forma di carità“: l’amore che si fa concreto ed efficiente, l’amore che va alla radice delle cause dei dolori e delle sventure dell’uomo, affinché nessuno sia lasciato escluso, ai margini, all’abbandono. Solo a politica che si muove in questa direzione è capace di visioni.
Una politica che sappia quanto vale la vita umana.
Presidente dell'Istituto Serafico di Assisi