Pandemia, guerra, cambiamenti climatici: niente ferma le battaglie sull’identità di genere nel vecchio e nel nuovo continente. Proseguono su strade politiche, e quindi del diritto, in Europa e con percorsi medici negli Usa, per i medesimi obiettivi.
È il Consiglio d’Europa a segnare le tappe del percorso: entro la fine del 2025 sarà revisionata la CM/Rec(2010)5, la Raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, adottata più di dieci anni fa. È una road map delle strategie lgbti, articolata in 12 punti, ognuno per un ambito in cui legiferare: il primo, ad esempio, sul diritto alla vita, alla sicurezza e alla protezione contro la violenza, tratta di reati e di discorsi d’odio; il quarto, sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, affronta fra l’altro il riconoscimento giuridico del cambio di sesso e le sue conseguenze; il sesto si occupa di istruzione, quindi anche del contenuto dei programmi scolastici; e il settimo della salute delle persone lgbti, con le loro specifiche esigenze. Pur non vincolante, è stato il testo di riferimento politico lgbti in Europa, ed è oltremodo utile leggere il recente primo Rapporto tematico redatto in vista del suo prossimo aggiornamento, curato dal Cdadi (Committee on Anti-Discrimination, Diversity and Inclusion), il Comitato per la lotta alla discriminazione, la diversità e l’inclusione del Consiglio d’Europa.
Il rapporto si occupa del riconoscimento legale del gender in Europa: è il punto della situazione sul self-id, cioè sulla possibilità di riconoscere il proprio genere esclusivamente in base a una autodichiarazione, senza alcun altro requisito, con restrizioni basate solo sull’età. In nome della depatologizzazione della condizione transgender, erano ben 15 i Paesi che nel 2019 consentivano il cambio anagrafico del genere di nascita senza interventi medici e senza passare per i tribunali ma solo mediante atti amministrativi. Di questi, 9 europei: Belgio (2018), Danimarca (2014), Islanda (2019), Irlanda (2015), Lussemburgo (2018), Malta (2015), Norvegia (2016), Portogallo (2018) e Svizzera (2021). In Spagna diverse regioni autonome prevedono già questo tipo di leggi, mentre in questi giorni si discute la «Ley Trans» che estenderebbe a tutto il Paese il self-id; un provvedimento analogo è proposto anche in Germania. Le leggi si differenziano per l’accesso ai minori, per i quali consenso dei genitori e procedure specifiche dipendono dalle fasce di età: in Lussemburgo, per esempio, è previsto l’intervento di un giudice se c’è disaccordo fra i genitori quando il minore ha meno di 5 (sì, cinque), anni. Vengono poi segnalate alcune sentenze di corti europee che stabiliscono la possibilità di riconoscere un genere diverso da quello binario: a Malta e in Islanda oltre a maschile e femminile è disponibile l’opzione "X". Fra le raccomandazioni c’è anche quella di rivedere le restrizioni al self-id per l’età, in base al principio del best interest del minore, «per assicurare l’accesso del bambino al riconoscimento legale, alla salute e alla sicurezza». Il prossimo rapporto tematico, che sarà pubblicato nel 2023, si concentrerà sui crimini d’odio contro le persone lgbti.
Dall’altra parte dell’oceano è il New York Times a fare il punto della situazione con un lunghissimo articolo di Emily Bazelon: «La battaglia sull’identità di genere», in cui si dà conto delle polemiche furibonde sulle nuove linee guida sulla salute delle persone transgender. È del 1979 la loro prima pubblicazione: lo «Standard of Care» da sempre è a cura della Wpath – World Professional Association for Transgender Health –, associazione di professionisti della salute per transgender, che conta 3.300 aderenti in tutto il mondo. La settima e ultima edizione risale al 2012, e per l’aggiornamento sono stati designati i più noti esperti del settore. Lo scorso dicembre è stata presentata una prima bozza per una consultazione pubblica, ma «il mondo della gender care è esploso»: gli oppositori del transgender hanno protestato, come prevedibile, per l’abbassamento a 14 anni (rispetto ai 16 precedenti) della soglia per i trattamenti ormonali, e per l’età minima di 15 anni per la mastectomia (anche se prima non c’era limite), ma gli attivisti e i sostenitori hanno scatenato una rivolta a causa di due condizioni per l’accesso ai trattamenti per i minori, in riferimento ai bloccanti della pubertà e agli ormoni. La prima chiedeva una evidente persistenza di «diversi anni» nella identificazione con un genere diverso da quello di nascita, la seconda di sottoporsi a una valutazione diagnostica completa per comprendere il contesto psicologico e sociale, eventualmente insieme ad altre condizioni di salute mentale.
Va detto che queste valutazioni non erano una novità per le linee guida, ma stavolta sono suonate come un "anatema" nel mondo pro-transgender: tali le proteste che, scrive il New York Times, la versione finale sarà più sfumata. "Depatologizzazione" è la parola d’ordine a cui è difficile sottrarsi, nonostante lo stesso quotidiano illustri dubbi e dilemmi di questi trattamenti, compresi i passi indietro di Svezia e Finlandia, la prudenza francese e il riconoscimento delle scarse conoscenze degli effetti a lungo termine anche da parte dei medici che seguono questi protocolli. La versione finale delle linee guida sarà pubblicata entro fine anno, in concomitanza con la campagna elettorale del Congresso per le elezioni di mid term, già infuocata dallo scontro sulla «Roe vs Wade»: è di qualche settimana fa la richiesta del governatore repubblicano della Florida, Ron deSantis, di bandire questi trattamenti per i minori e di eliminare la copertura sanitaria per gli adulti. E non è il solo. La battaglia sull’identità di genere continua.
Verso l'aggiornamento delle linee guida anti-discriminazione, l'organismo indica ai 47 Paesi membri il sostegno alla semplice autodichiarazione anche per i minori. Ma gli scienziati fanno resistenza
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