venerdì 18 ottobre 2024
Cellule Car-t, editing genetico, malattie rare: così all’Ospedale Bambino Gesù di Roma si cercano risposte a questioni cliniche molto complesse. Parla il direttore scientifico Andrea Onetti Muda
Andrea Onetti Muda, direttore scientifico dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma

Andrea Onetti Muda, direttore scientifico dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma

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Non solo per trovare nuove terapie, ma anche per accompagnare e non lasciare sole le persone. Quando è finalizzata ai pazienti in età pediatrica, la ricerca assume un carattere particolare. Non per via della tenerezza che genera l’infanzia. Almeno, non solo. È soprattutto per la necessità di rivolgere gli sforzi a chi della fragilità non può fare a meno e allo stesso tempo deve costruire la base del proprio domani.

«Le frontiere nella ricerca non costituiscono un confine, bensì un punto di passaggio per migliorare l’approccio terapeutico», spiega il professor Andrea Onetti Muda, direttore scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Irccs di Roma, il più grande policlinico e centro di ricerca in Europa dedicato ai bambini.

«All’ultima Giornata del malato – continua – papa Francesco ha ricordato che prendersi cura è instaurare delle relazioni, che è quello che facciamo al Bambino Gesù, dove cerchiamo risposte per curare e stare accanto alle persone». All’ospedale ai piedi del Gianicolo sono quasi duemila i ricercatori. Secondo i dati più recenti, nel 2022 i progetti erano 450 e 550 gli studi clinici; la ricerca scientifica ha prodotto oltre 1300 pubblicazioni, con un impact factor grezzo superiore a 8700.

Un esempio di come venga tradotto sul campo l’impegno è dato dagli studi sulle terapie geniche e in particolare sulle Car-t, grazie alle quali alcune cellule prelevate dal paziente sono modificate geneticamente e addestrate per riconoscere il bersaglio espresso dai tumori, e aggredirli una volta reinfuse. «Un anno fa – ricorda il direttore – i nostri oncologi hanno pubblicato sulla rivista “New England journal of medicine”, una delle più prestigiose in campo medico, uno studio che ha riguardato l’uso delle Car-t per il trattamento del neuroblastoma, il tumore solido più frequente dell’età pediatrica, recidivante e resistente alle terapie convenzionali, che ha dato buoni risultati in termini di sopravvivenza e remissione. È stata la prima volta che a livello internazionale le Car-t hanno ottenuto un tale esito su un tumore solido». L’applicazione delle terapie geniche è stata estesa anche alle malattie non oncologiche, come il lupus eritematoso sistemico o la dermatomiosite. «In questo caso – prosegue – i primi risultati sono eccezionali. Stiamo gettando le basi per dei trial clinici e valutare la reale efficacia, ma le aspettative sono elevate».

Una giovane ricercatrice nei laboratori del Bambino Gesù

Una giovane ricercatrice nei laboratori del Bambino Gesù - .

Un altro esempio di come l’approccio individuato dai ricercatori possa fare la differenza viene dalla terapia per la talassemia, una malattia che costringe i pazienti a sottoporsi a trasfusioni ogni 15 giorni. «La tecnica di editing Crisp Cas9 – spiega Onetti Muda – modifica il gene malato e consente alle cellule del midollo osseo di tornare a produrre un tipo di emoglobina in grado di svolgere le funzioni di trasporto di ossigeno. In questo modo si evita la trasfusione e si cambia la vita della persona. I risultati dell’approccio terapeutico sono stati dimostrati in trial clinici interazionali che hanno riguardato soggetti sopra i 12 anni. A breve ne partirà un altro, sempre internazionale e coordinato dal nostro ospedale, per i bambini sotto questa età».

Il professore descrive la stretta connessione che c’è fra diagnosi accurata, percorso clinico migliore e individuazione del farmaco efficace, e poi confida un pensiero che corrisponde alla spinta che muove l’animo del ricercatore: «Non possiamo pretendere di guarire tutti i bambini, però ogni goccia nel mare contribuisce a far sì che i più piccoli possano guardare la vita con un occhio diverso».
L’attenzione della ricerca si estende pure a precise malattie, dimenticate alle nostre latitudini, ma endemiche in altre parti del mondo come l’Hiv o le febbri ricorrenti. «Un nostro gruppo di ricerca – afferma – dedica la propria attività allo studio dei vaccini e ha vinto alcuni finanziamenti importanti. Ciò consente di ottemperare alla nostra missione di portare le terapie ai bambini nel mondo, che è ciò che il Papa chiede di fare quando ci invita ad avere uno sguardo ampio».

Il capitolo dedicato alle malattie rare al Bambino Gesù è corposo: su 24 reti di riferimento europeo, l’ospedale è presente in venti, dando assistenza a 18mila pazienti. Inoltre solo lo scorso anno sono stati individuati 18 nuovi geni di malattie prive di diagnosi. «Identificare un gene – sottolinea il professore – è il primo passo per arrivare alla comprensione dei meccanismi cellulari e molecolari che sono alla base delle malattie, fondamentali per determinare il corretto approccio terapeutico».

Anche sul microbiota intestinale, si è sviluppato un filone di ricerca apposito: «Grazie ai nostri ricercatori, abbiamo evidenziato come la composizione dei batteri dell’intestino concorra in modo significativo al decorso di alcune malattie. Sul trapianto di microbiota stiamo lavorando in stretta sinergia con il Centro nazionale trapianti, anche se il lavoro è complesso e richiede molta accuratezza nella definizione delle procedure e nei controlli di qualità».

Su cosa sia necessario per curare i bambini, a parte le terapie migliori, il direttore pensa in primo luogo al problema della sostenibilità della ricerca, ancora più evidente nell’ambito pediatrico: «Sono poche – riconosce – le case farmaceutiche disponibili a fare investimenti importanti: i numeri delle malattie pediatriche sono significativamente più bassi rispetto alla sfera adulta, rendendo l’impegno di grosse somme di denaro meno appetibile. La sostenibilità della ricerca si basa quindi in prevalenza sul supporto finanziario dei Grant competitivi o sulla disponibilità dei benefattori, persone illuminate che contribuiscono in modo disinteressato al sostegno della ricerca». Poi c’è un altro fattore da non dimenticare: «Il bambino – sottolinea – non è un piccolo adulto, perciò l’approccio deve essere specifico. In questo senso, la conoscenza, lo studio e le relazioni internazionali contribuiscono a realizzare quelle reti di collegamento con altri centri che hanno la stessa volontà a trovare risposte».


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