martedì 16 novembre 2021
Il messaggio del Pontefice per i 40 anni del centro dei gesuiti: "Sapete cosa significhi vivere senza libertà e diritti, troppo spesso vi scontrate con un deserto di umanità e con l'indifferenza"
Papa Francesco a Bologna incontra un gruppo di migranti e profughi

Papa Francesco a Bologna incontra un gruppo di migranti e profughi - Fotogramma

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Papa Francesco saluta il Centro Astalli, l'istituzione attraverso la quale i gesuiti a Roma si occupano dei problemi degli immigrati, e si sofferma in una riflessione su chi è costretto a lasciare il proprio paese a causa della guerra, della fame e dello sfruttamento. "Molti tra voi sono dovuti scappare da condizioni di vita assimilabili a quelle della schiavitù dove alla base c'è una concezione della persona umana deprivata della propria dignità e trattata come un oggetto", scrive il Pontefice in occasione dell'inaugurazione - per i quarant'anni di attività del Centro Astalli - della mostra "Volti al futuro: venti ritratti di rifugiati".

L'esposizione è accolta nella chiesa di Sant'Andrea al Quirinale fino al 28 novembre ed è stata aperta stamattina dal cardinale Angelo De Donatis, vicario per la Diocesi di Roma, e dal cardinale Michael Czerny, sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati della Santa Sede. Per l'occasione, presenti anche il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri.

"Sapete cosa significhi vivere senza libertà e diritti, assistete inermi mentre la vostra terra inaridisce, la vostra acqua si inquina e non avete altra possibilità se non quella di mettervi in cammino verso un luogo sicuro in cui realizzare sogni, aspirazioni, in cui mettere a frutto talenti e capacità", prosegue il Papa, "purtroppo il mettersi in cammino non ha costituito in molti casi una vera liberazione, troppo spesso vi scontrate con un deserto di umanità, con un'indifferenza che si è fatta globale e che inaridisce le relazioni tra gli uomini".

L'attesa è quella di avere i migranti "protagonisti con piena cittadinanza insieme a tanti altri uomini e donne nella costruzione di comunità solidali. L'augurio sincero in questo anniversario allora è quello che si realizzi veramente la "cultura dell'incontro" e come popolo ci appassioni il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, il gettare ponti, il progettare qualcosa che coinvolga tutti".

"La storia in questi ultimi decenni ha dato segni di un ritorno al passato: i conflitti si riaccendono in diverse parti del mondo, nazionalismi e populismi si riaffacciano a diverse latitudini, la costruzione di muri e il ritorno dei migranti in luoghi non sicuri appaiono come l'unica soluzione di cui i governi siano capaci per gestire la mobilità umana. In questi quaranta anni e in questo deserto, tuttavia ci sono stati segni di speranza che ci permettono di poter sognare di camminare insieme come un popolo nuovo verso un noi sempre più grande".

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