Il Papa a Giuba - Ansa
Il presidente Salva Kiir Mayardit lo ha atteso con il cappello da cowboy in mano. «È tempo di voltare pagina, è il tempo dell’impegno per una trasformazione urgente e necessaria… è tempo di un cambio di passo», ha detto papa Francesco. E la pagina si è voltata già all’aeroporto di Juba, capitale della giovane e tormentata Repubblica del Sud Sudan, con l’inedito incipit di una visita dal passo ecumenico.
Papa Francesco, l’arcivescovo anglicano di Canterbury Justin Welby e il moderatore della Chiesa di Scozia, il pastore Iain Greenshields, hanno attraversato insieme il piazzale dell’aeroporto sotto il sole cocente dell’Equatore e i canti d’augurio delle donne per dare seguito a un processo ecumenico di pace in un Paese dilaniato dalle guerre. Una visita a tre, tra cristiani.
«Vengo come pellegrino di riconciliazione, con il sogno di accompagnarvi nel vostro cammino di pace, un cammino tortuoso ma non più rimandabile – ha detto papa Francesco nel suo discorso nell’affollato giardino del Palazzo Presidenziale – Non sono giunto qui da solo, perché nella pace, come nella vita, si cammina insieme. Eccomi dunque a voi con due fratelli, l’Arcivescovo di Canterbury e il Moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia… e insieme, tendendovi la mano, ci presentiamo a voi e a questo popolo nel nome di Gesù Cristo, Principe della pace». «Insieme» ha quindi ribadito più volte davanti al presidente, alle autorità politiche e civili del Sud Sudan «affinché si riconcili e cambi rotta».
La volontà di recarsi nella Repubblica del Sud Sudan, riconosciuto stato indipendente dal 2011era già stata espressa dal Papa cinque anni fa, nel corso della sua visita alla chiesa anglicana di All Saints a Roma, nella quale disse che l’invito di visitare il Paese gli era stato rivolto da tre pastori di diverse confessioni cristiane molto presenti in Sud Sudan: «Non venga da solo, venga con l’arcivescovo di Canterbury» riferì il Papa. Poi nell’aprile 2019 l’incontro in Vaticano con il presidente del Sud Sudan, i leader dell’opposizione e i vertici delle diverse Chiese cristiane davanti ai quali il Papa ha compiuto il gesto di inginocchiarsi per implorare la riconciliazione e segnare così una nuova possibilità di sviluppo per il martoriato Paese. In Sud Sudan, sfigurato dalla guerra civile e dalla fame, nonostante gli accordi di pace del 2018, la violenza non è mai cessata e dal 2013, a due anni dall’indipendenza, si sono alternati sforzi e ottimismo a drammatici episodi legati alle violenze, a cui si aggiungono crisi alimentari, siccità e alluvioni, calamità naturali che «raccontano un creato ferito e sconquassato», e conflitti che costringono alla fuga milioni di persone. Quella del Sud Sudan è la più grande crisi di rifugiati dell’Africa, con almeno quattro milioni di sfollati. Un campo di trentatremila si trova nella capitale.
«Abbiamo intrapreso questo pellegrinaggio ecumenico di pace dopo aver ascoltato il grido di un intero popolo che, con grande dignità, piange per la violenza che soffre, per la perenne mancanza di sicurezza, per la povertà che lo colpisce e per i disastri naturali che infieriscono – ha detto ancora il Papa rivolgendosi al presidente al quale ha ricordato a braccio il suo incontro in Vaticano –.
Queste le ragioni che lo hanno dunque spinto a venire e a compiere e sostenere questo percorso insieme ai leader delle due altre Chiese. Fatto «che costituisce una rarità» ha ribadito, ma è soprattutto di grande esempio, considerate anche le ostilità in passato tra le diverse Chiese. «Ci si intenda e si porti avanti l’Accordo di pace» ha affermato. Il presidente nel suo discorso ha ripreso “Iniziativa di Roma”, il processo di pace parallelo promosso nel 2020 della Comunità di Sant’Egidio per portare al tavolo negoziale anche i movimenti dell’opposizione non firmatari dell’Accordo rivitalizzato di pace del 2018. Così «in un mondo segnato da divisioni e conflitti, questo Paese ospita oggi un pellegrinaggio ecumenico di pace», come occasione per ricominciare.
È un fatto storico, che va oltre i confini dello stato africano, che sottolinea e amplifica nuovamente le prospettive di un percorso indispensabile e irreversibile tra Chiese cristiane urgentemente richiesto dai segni dei tempi, nei quali l’impegno e il servizio comune delle Chiese cristiane e dei loro responsabili esigono di offrirsi testimoni come lievito per favorire la giustizia, la fratellanza e la pace dei popoli. «Questa è la via: rispettarsi, conoscersi, dialogare – ha detto il Papa – Atteggiamento, essenziale per i processi di pace, indispensabile anche per lo sviluppo coeso della società. E al «Paese fanciullo» come lo ha chiamato, per passare «dalla inciviltà dello scontro alla civiltà dell’incontro», ha indicato le vie sulle quali realizzare e affermare la realtà pubblica ponendosi al servizio del bene comune, perché lo scopo del potere è servire la comunità: la lotta alla corruzione, arginare l’arrivo di armi, lo sviluppo di adeguate politiche sanitarie, infrastrutture vitali e, in modo speciale, al ruolo primario dell’alfabetismo e dell’istruzione. «Desideriamo offrire di cuore la nostra preghiera e il nostro sostegno – ha infine affermato Francesco – affinché il Sud Sudan si riconcili e cambi rotta, perché il suo corso vitale non sia più impedito dall’alluvione della violenza, ostacolato dalle paludi della corruzione e vanificato dallo straripamento della povertà».
Le parole di Justin Welby, Arcivescovo anglicano di Canterbury e del reverendo Iain Greenshields, moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia nell’incontro con le autorità diplomatiche e civili nel giardino del Palazzo presidenziale
Arcivescovo Justin Welby: «Essere qui con i miei cari fratelli in Cristo, Papa Francesco e il Moderatore Iain, è una risposta a un’altra richiesta. Una preghiera antica come la Chiesa, antica come la preghiera di Gesù in Giovanni 17: “Perché tutti siano una sola cosa”. Nel 2019, sapete che Papa Francesco e io, insieme a un ex Moderatore della Chiesa di Scozia, abbiamo tenuto un ritiro in Vaticano per i Capi Stato del Sud Sudan. Abbiamo pregato affinché lo Spirito Santo potesse agire e in quell'incontro abbiamo visto la possibilità di una speranza. Papa Francesco si è inginocchiato per baciare i piedi di ogni politico. Quasi cinque anni dopo, veniamo così di nuovo da voi: in ginocchio per lavare i piedi, ascoltare, servire e pregare con voi. Veniamo per incoraggiare la Chiesa a ricordare il significativo impegno svolto nel costruire la pace e nel riunire le persone. Veniamo ad ascoltare i giovani ed a raccontare ai Capi di Governo le loro speranze di pace e di opportunità. Veniamo per onorare le donne che hanno conosciuto una sofferenza così terribile e che tuttavia sono state il segno della rinascita Insieme, pregheremo per la pace del Signore, testimonieremo il Cristo che è morto perché noi fossimo salvati, e invocheremo lo Spirito Santo affinché entri nei nostri cuori e in quelli di coloro che hanno grandi responsabilità, in modo che la parola di Gesù Cristo possa essere accolta: “perché tutti siano una sola cosa”. Quando siamo riuniti nel nome di Cristo, sappiamo che Gesù è con noi. Prego che questa sia una visita di grande speranza e guarigione, di tempo trascorso insieme come una famiglia della Chiesa, seguendo l'unico Dio che ci avvicina sempre di più gli uni agli altri e a Lui».
Reverendo Iain Greenshields: «Beati gli operatori di pace – ha detto Gesù – che è il Principe della Pace, una pace che porta giustizia per tutti - famiglie, tribù, nazioni. Oggi abbiamo bisogno di questa pace. Abbiamo bisogno di Chiese e leader che siano generosi, aperti all’amore e propensi alla grazia di Dio. Abbiamo bisogno di leader che si preoccupino dei valori che caratterizzano i nostri Paesi, che si preoccupino delle condizioni in cui vivono le persone e che mettano in pratica la propria fede, operando a favore dei più fragili ed emarginati. Queste cose creano la pace. Che tutti i leader politici, civili e internazionali si uniscano nella ricerca della promessa universale di Dio di una vita in pienezza per tutto il popolo di Dio».