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Dopo le tre giornate ad Edmonton papa Francesco vola a Quebec City, capitale del Canada francofono, seconda tappa del suo “pellegrinaggio penitenziale”. Primo appuntamento nella Cittadelle, sede del Governatore generale, la signora Mary Simon, per l’incontro con le autorità civili, i rappresentanti delle popolazioni indigene e con il corpo diplomatico.
L’evento, previsto per le 16,20 (le 22,20 in Italia), slitta di un’ora per un ritardo del volo della delegazione dei nativi. Francesco incontra privatamente la signora Simon, padre inglese e madre Inuit, e poi il premier Justin Trudeau. Poi di fronte a tutti, dopo aver ascoltato l’intervento di un leader nativo e i saluti del Governatore e del primo ministro, pronuncia il suo intervento.
E’ un discorso ampio e articolato, quello del Papa, che ha come filo rosso la foglia d’acero, simbolo del Paese che campeggia nella bandiera canadese.
Molti i temi toccati. Innanzitutto gli indigeni. Francesco elogia la loro laboriosità, “sempre attenta a salvaguardare la terra e l’ambiente, fedele a una visione armoniosa del creato, libro aperto che insegna all’uomo ad amare il Creatore e a vivere in simbiosi con gli altri esseri viventi”. Un atteggiamento da cui “c’è tanto da imparare” per “contribuire a risanare le nocive abitudini di sfruttare, oltre al creato, anche le relazioni e il tempo, e di regolare l’attività umana solo in base all’utile e al profitto”.
Il Papa ritorna sul tema delle cosiddette “scuole residenziali”. Un “deprecabile sistema”, precisa, “promosso dalle autorità governative dell’epoca”. Un sistema che ha visto “coinvolte diverse istituzioni cattoliche locali”. Per questo, ribadisce Francesco, “esprimo vergogna e dolore e, insieme ai vescovi di questo Paese, rinnovo la mia richiesta di perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene; per tutto questo chiedo perdono”.
Per il Papa è un caso generato da “una mentalità colonizzatrice”. Il che gli offre il destro per mettere in guardia dal fenomeno delle “colonizzazioni ideologiche”, quanto mai attuali, e in particolare dalla cosiddetta “cancel culture”. “Se un tempo – argomenta - la mentalità colonialista trascurò la vita concreta della gente, imponendo modelli culturali prestabiliti, anche oggi non mancano colonizzazioni ideologiche che contrastano la realtà dell’esistenza, soffocano il naturale attaccamento ai valori dei popoli, tentando di sradicarne le tradizioni, la storia e i legami religiosi”. “È una mentalità – aggiunge - che, presumendo di aver superato “le pagine buie della storia”, fa spazio a quella cancel culture che valuta il passato solo in base a certe categorie attuali”. Così “si impianta una moda culturale che uniforma, rende tutto uguale, non tollera differenze e si concentra solo sul momento presente, sui bisogni e sui diritti degli individui, trascurando spesso i doveri nei riguardi dei più deboli e fragili: poveri, migranti, anziani, ammalati, nascituri…”. Sono loro “i dimenticati nelle società del benessere”. Sono loro che “nell’indifferenza generale vengono scartati come foglie secche da bruciare”.
In questo contesto Francesco cita san Giovanni Paolo II e riafferma il valore della famiglia, “cellula essenziale della società”, “prima realtà sociale concreta”, che però è “minacciata” da molti fattori: “violenza domestica, frenesia lavorativa, mentalità individualistica, carrierismi sfrenati, disoccupazione, solitudine dei giovani, abbandono degli anziani e degli infermi...”.
Francesco evoca anche l’”insensata follia della guerra”, e invoca la necessità “di lenire gli estremismi della contrapposizione e di curare le ferite dell’odio”. Lo fa citando una frase di Edith Bruck in una intervista su Avvenire dello scorso 8 marzo: “La pace ha un suo segreto: non odiare mai nessuno. Se si vuole vivere non si deve mai odiare”. E aggiunge un commento: “Non abbiamo bisogno di dividere il mondo in amici e nemici, di prendere le distanze e riarmarci fino ai denti: non saranno la corsa agli armamenti e le strategie di deterrenza a portare pace e sicurezza”. “Non c’è bisogno di chiedersi come proseguire le guerre, ma come fermarle”, scandisce Francesco. C’è bisogno, prosegue, “di impedire che i popoli siano tenuti nuovamente in ostaggio dalla morsa di spaventose guerre fredde allargate”. C’è bisogno infine “di politiche creative e lungimiranti, che sappiano uscire dagli schemi delle parti per dare risposte alle sfide globali”.
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La politica, la buona politica, è un altro tema toccato dal Papa. “La politica – rimarca - non può rimanere prigioniera di interessi di parte”. Occorre “saper guardare, come la sapienza indigena insegna, alle sette generazioni future, non alle convenienze immediate, alle scadenze elettorali, al sostegno delle lobby”.
Dopo aver elogiato la “vocazione ecologica” del Paese, il Papa riflette su una “parola fondamentale per i canadesi”, il “multiculturalismo”, che “è una sfida permanente”. E’ “accogliere e abbracciare le diverse componenti presenti, rispettando, al contempo, la diversità delle loro tradizioni e culture, senza pensare che il processo sia compiuto una volta per tutte”. Il Papa esprime “apprezzamento in tal senso per la generosità nell’ospitare numerosi migranti ucraini e afghani”. Ma “occorre anche lavorare per superare la retorica della paura nei confronti degli immigrati e per dare loro, secondo le possibilità del Paese, la possibilità concreta di essere coinvolti responsabilmente nella società”. Per fare ciò “i diritti e la democrazia sono indispensabili”. Ma, avverte Francesco, “è necessario fronteggiare la mentalità individualista, ricordando che il vivere comune si fonda su presupposti che il sistema politico da solo non può produrre”. Un implicito riferimento alla celebra affermazione del filosofo e giurista tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde (“Lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non è in grado di garantire”). In questo contesto la Chiesa cattolica, sottolinea il Papa, “con la sua dimensione universale e la sua cura nei riguardi dei più fragili, con il legittimo servizio a favore della vita umana in ogni sua fase, dal concepimento e fino alla morte naturale, è lieta di offrire il proprio contributo”.
Infine Francesco rimarca il fatto che anche in un Paese sviluppato come il Canada “non sono pochi i senzatetto che si affidano alle chiese e ai banchi alimentari per ricevere aiuti e conforti essenziali, che – non dimentichiamolo – non sono solo materiali”. Questo spinge a considerare “l’urgenza di adoperarci per porre rimedio alla radicale ingiustizia che inquina il nostro mondo, per cui l’abbondanza dei doni della creazione è ripartita in modo troppo diseguale”. “È scandaloso – rimarca Francesco - che il benessere generato dallo sviluppo economico non vada a beneficio di tutti i settori della società”.
Dopo l’incontro alla Citadelle du Quebec il Papa si ritira in arcivescovado. Giovedì sono due gli appuntamenti di Francesco. La mattina, quando in Italia sono le 16, la messa nel Santuario nazionale di Saint Anne de Beaupré, il più antico luogo di pellegrinaggio del Nord America, a una trentina di chilometri dalla città. Il pomeriggio (le 23,15 da noi) i vespri con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, i seminaristi e gli operatori pastorali presso la cattedrale di Notre Dame a Quebec.