Edith Bruck - Ansa
«È possibile che l’uomo non abbia imparato niente? Ripete gli stessi errori, sempre gli stessi, è desolante, un dolore enorme per me che ho vissuto la guerra peggiore». Edith Bruck ha raccontato ancora una volta la sua storia di donna deportata e sopravvissuta alla guerra, al fumo acre della carne bruciata dei suoi fratelli, delle sue sorelle nei forni crematori, in quelle fosse comuni dove inesorabile si è inabissata l’umanità. L’ha fatto guardando a più di novant’anni al nuovo agghiacciante scenario di guerra che si è spalancato come una voragine dietro casa, in Europa. E ha voluto ancora portarsi, come ha fatto di recente ad Assisi davanti a migliaia di studenti per la prossima Giornata europea dei giusti che si celebra il 6 marzo, perché «testimoniare per me è una missione». «Io – ha detto rispondendo a quei ragazzi – anche allora volevo parlare subito dell’immane tragedia vissuta, ma nessuno voleva ascoltare. E per questo ho scelto di scrivere perché anche se l’orecchio umano non vuole sentire, la carta sopporta tutto».
Ma come si può raccontare tutto questo senza odio?
Ringrazio Dio di non conoscere il sentimento dell’odio, e non capisco chi oggi definisce chi fugge dalle guerre e dalla fame “zecche di cane”, che dovrebbero affogare. E soprattutto non capisco come si possa, ancora oggi, usare armi e uccidere pensando di stare dalla parte di Dio. Sono esausta – riprende mentre appoggia ora i piedi stanchi sui cuscini, e Olga, ucraina, che l’accompagna da anni, piange in silenzio la separazione da sua figlia, rimasta nei sotterranei al confino ucraino insieme ai suoi bambini di cinque e otto anni –. Hai visto le immagini trasmesse? Le ultime…
Quali?
Quelle di un giovanissimo soldato russo che scende dal mezzo blindato per chiedere piangendo un bicchiere d’acqua a una donna ucraina… Lei gli da mangiare e gli presta il telefono per parlare con la mamma… Poveri anche questi ragazzi russi buttati come carne da cannone dentro una guerra sporca, come lo sono tutte le guerre, come bambini armati che non sanno neanche dove si trovano… E questo dice tutta la mostruosità e l’insensatezza di quello che sta accadendo e ci travolge tutti.
Ci sono tante madri che scappano con i loro bambini…
Le donne sono doppiamente vittime. Sempre vivono la parte peggiore delle guerre.
Lei ha scritto nella sua Lettera alla madre cosa avrebbe fatto con i suoi figli.
Non avrei mai detto che ci sono uomini tutto cattivi o tutto buoni, non gli avrei parlato di guerre sante, di terre sante, solo di popoli e terre e popoli senza terra, che la guerra è il fallimento dell’uomo.
Ma ci sono anche donne, vediamo in Ucraina, che imbracciano e preparano armi e combattono…
Si difendono, ma noi dobbiamo lottare per la pace. Perché non c’è una guerra giusta. E non ci può essere una guerra giusta. Inviare armi è giusto?
Cinquantadue paesi stanno mandando armi in Ucraina.
Mandare armi per fermare armi non ha senso. È una contraddizione. Tutto è una contraddizione. La contraddizione è all’origine. Come si divide una patria con giustizia dopo averla conquistata morendo e uccidendo? Più si uccide più si muore, dentro. C’è troppo sangue in mezzo, troppa differenza, troppa poca buona volontà, e ancora meno umiltà. Chi è stato troppo umiliato è poco incline a concedere a chi non c’entra niente con la sua umiliazione?
È l’otto marzo. Quale messaggio possono dare le donne?
Di non coltivare l’odio, la vendetta, di non trasmettere mai questo. Nel ’45 dopo la liberazione io e mia sorella Golde, uniche sopravvissute alla Shoah di tutta la nostra numerosa famiglia, riuscimmo a ritornare a casa. Ricordo gli americani e i soldati nazisti ungheresi che scappavano, braccati, si nascondevano… Ricordo cinque di questi soldati che ci implorarono di aiutarli, potevamo denunciarli, io e mia sorella ci guardammo negli occhi, li nascondemmo. Noi abbiamo dato loro rifugio.
Per lei che ha visto negli occhi Mengele quale può essere la pace?
La pace ha un suo segreto: non odiare mai nessuno. Se si vuole vivere non si deve mai odiare.