Una toccante cerimonia nel primo giorno della visita. La preghiera in un cimitero e poi il dialogo con i capi delle nazioni indigene. Il Papa: «Vi chiedo perdono» - Reuters
L’area di Maskwacis si trova a circa 70 chilometri a sud di Edmonton, la capitale dell’Alberta, provincia occidentale del Canada. In lingua cree vuol dire “colline degli orsi” perché era ricoperta di cespugli di mirtilli che attiravano nella zona un gran numero di questi plantigradi.
Oggi ospita le riserve del gruppo delle Tribù Indiane del Canada Occidentale. Le Quattro Nazioni di Maskwacis, appunto. L’Ermineskin Cree Nation, la Louis Bull Tribe, la Montana First Nation e la Samson Cree Nation.
Qui papa Francesco pronuncia il primo discorso del “pellegrinaggio penitenziale” che lo ha portato nel grande Paese Nordamericano. Qui, “profondamente addolorato”, rinnova la richiesta di “perdono” per i modi in cui, “purtroppo, molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni”. Qui chiede perdono, in particolare, “per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche attraverso l’indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca, culminati nel sistema delle scuole residenziali”.
Alle parole il Papa aggiunge gesti significativi. Bacia lo striscione rosso con su scritti i nomi dei bimbi vittime delle scuole residenziali. E poi un intenso momento di preghiera silenziosa nel cimitero attiguo alla chiesa dedicata.
Ad ascoltarlo, ed applaudirlo più volte, ci sono alcune migliaia di nativi guidati da una delegazione di capi indigeni provenienti da tutto il Paese con i caratteristici copricapo piumati, copricapo che alla fine della cerimonia i leader pongono anche sulla testa di Francesco. Assistono anche il Governatore generale del Canada, la signora Mary Simon, figlia di un inglese e di una nativa Inuk, e il premier Justin Trudeau.
Il Papa usa parole forti. Inequivocabili. Chiede perdono ai rappresentanti dei popoli indigeni per “le sofferenze” patite nelle cosiddette “scuole residenziali”, istituite dal governo e gestite delle Chiese cristiane per “rieducare” secondo i canoni occidentali i giovani nativi strappandoli dalle famiglie.
Un sistema nato a fine Ottocento e mantenuto fino alla seconda metà del secolo scorso. Un sistema "devastante per la gente di queste terre”. Francesco riconosce “la carità cristiana” presente in quegli istituti e “non pochi casi esemplari di dedizione per i bambini”, ma sottolinea che “le conseguenze complessive delle politiche legate alle scuole residenziali sono state catastrofiche”.
Un “errore devastante”, “incompatibile con il Vangelo di Gesù Cristo”.
Il Papa evoca la bolla di Giovanni Paolo II per l’indizione del Grande Giubileo del 2000 che impegnava la Chiesa in una “purificazione della memoria”. Lo fa per rimarcare che “di fronte a questo male che indigna, la Chiesa si inginocchia dinanzi a Dio e implora il perdono per i peccati dei suoi figli”.
“Vorrei ribadirlo con vergogna e chiarezza – aggiunge -: chiedo umilmente perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene”. Francesco infine riafferma l’intenzione della Chiesa a “condurre una seria ricerca della verità sul passato e aiutare i sopravvissuti delle scuole residenziali a intraprendere percorsi di guarigione dai traumi subiti”.
Alle parole il Papa aggiunge un gesto significativo. Un intenso momento di preghiera silenziosa nel cimitero attiguo alla chiesa dedicata alla Madonna dei Sette dolori. Il silenzio è rotto solo da un canto tradizionale accompagnato dal suono di tamburo. E’ un momento particolarmente intenso. Con un suo perché. Le scuole residenziali hanno ospitato circa 150mila bimbi. Una delle questioni più sentite riguarda i tanti di loro, almeno tremila, morti e sepolti in fosse comune (spesso, va detto, i corpi non venivano restituiti alle famiglie su indicazione delle autorità civili per evitare spese eccessive).
In Canada è mattina, siamo otto ore indietro rispetto l’Italia. Una pioggerella intermittente non infastidisce più di tanto la cerimonia, che inizia alle 10 locali e si protrae per circa un paio d’ore.
Papa Francesco incontra i nativi a Edmonton - Ansa
Il Papa si muove in sedia a rotelle. Ha voluto fortemente che questo “pellegrinaggio penitenziale” si facesse, nonostante il ginocchio malandato. Ma con un programma più leggero del solito. Un appuntamento la mattina ed uno il pomeriggio. Non eccessivamente lunghi.
Dopo la visita a Maskwacis, nel pomeriggio canadese, quando in Italia è ormai notte inoltrata, il Papa ha l’altro un incontro con i nativi presso la chiesa parrocchiale del Sacro Cuore di Edmonton.
All’uscita la statua di Santa Kateri Tekakwitha, la prima nativa nordamericana canonizzata. Domani alle 10,15 (le 18,15 italiane) c’è la Santa Messa nel Commonwealth Stadium della città.
Dopo la visita a Maskwacis, nel pomeriggio canadese, quando in Italia è ormai notte inoltrata , il Papa ha l’altro incontro con i nativi, presso la chiesa del Sacro Cuore di Edmonton, edificio reduce da due anni di lavori di restauro per riparare i danni di un incendio.
Questa parrocchia è diventata casa spirituale per molti immigrati e rifugiati che si sono stabiliti a Edmonton. Il Papa se ne compiace e in particolare ringrazia anche per la vicinanza a tanti poveri con opere di carità.
Rivolgendosi ai nativi ribadisce un concetto già espresso in mattinata. “Mi ferisce – dice -pensare che dei cattolici abbiano contribuito alle politiche di assimilazione e affrancamento che veicolavano un senso di inferiorità, derubando comunità e persone delle loro identità culturali e spirituali, recidendo le loro radici e alimentando atteggiamenti pregiudizievoli e discriminatori, e che ciò sia stato fatto anche in nome di un’educazione che si supponeva cristiana”. L’educazione invece, afferma, “deve partire sempre dal rispetto e dalla promozione dei talenti che già ci sono nelle persone”. Così “non è e non può mai essere qualcosa di preconfezionato da imporre, perché educare è l’avventura di esplorare e scoprire insieme il mistero della vita”.
Francesco affronta il tema della riconciliazione, quella vera, che “operata da Cristo” non è “un accordo di pace esterno, una sorta di compromesso per accontentare le parti”. Perché “se vogliamo riconciliarci tra di noi e dentro di noi, riconciliarci con il passato, con i torti subiti e la memoria ferita, con vicende traumatiche che nessuna consolazione umana può risanare, lo sguardo va alzato a Gesù crocifisso, la pace va attinta al suo altare”.
Il Papa osserva che “sembrerebbe più conveniente inculcare Dio nelle persone, anziché permettere alle persone di avvicinarsi a Dio”. Ma questo “non funziona mai”, perché “il Signore non agisce così: egli non costringe, non soffoca e non opprime; sempre, invece, ama, libera e lascia liberi”. Il Signore “non sostiene con il suo Spirito chi assoggetta gli altri, chi confonde il Vangelo della riconciliazione con il proselitismo”. Perché “non si può annunciare Dio in un modo contrario a Dio”. “Eppure, quante volte è successo nella storia!”, commenta amaramente. Infatti “mentre Dio semplicemente e umilmente si propone, noi abbiamo sempre la tentazione di imporlo e di imporci in suo nome”. E proprio questa è “la tentazione mondana di farlo scendere dalla croce per manifestarlo con la potenza e l’apparenza.
La via da percorrere invece, indica infine Francesco, è “non decidere per gli altri, non incasellare tutti all’interno di schemi prestabiliti”, ma “mettersi davanti al Crocifisso e davanti al fratello per imparare a camminare insieme”. Questa “è la Chiesa e questo sia: il luogo dove la realtà è sempre superiore all’idea”. Questa “è la Chiesa e questo sia: non un insieme di idee e precetti da inculcare alla gente, ma una casa accogliente per tutti!”. Questo “è la Chiesa e questo sia: un tempio con le porte sempre aperte dove tutti noi, templi vivi dello Spirito, ci incontriamo, ci serviamo e ci riconciliamo”.
La celebrazione è finita. Francesco uscendo benedice la statua di Santa Kateri Tekakwitha, la prima nativa nordamericana canonizzata. E poi con un fuori programma si avvicina. Sempre nella sedia a rotelle, ad un gruppo di fedeli, perlopiù di origine latinoamericana, che lo invocano ad alta voce da dietro le transenne.
Oggi alle 10,15 (le 18,15 italiane) c’è la Messa nel Commonwealth Stadium della città.