sabato 14 settembre 2024
Un villaggio che educa si mobilita per limitare i cellulari. Una società che progetta sistemi informatici sempre più complessi non può arenarsi di fronte alla necessità di evitarne usi pericolosi
Cresce il dibattito sull'età a cui poter accedere allo smarphone

Cresce il dibattito sull'età a cui poter accedere allo smarphone - Reuters

COMMENTA E CONDIVIDI

Forse non si tradurrà in una legge nei suoi esatti termini la petizione lanciata nei giorni scorsi dallo psicologo Alberto Pellai e dal pedagogista Daniele Novara, per vietare lo smartphone ai minori di 14 anni e i social media a chi ne ha meno di 16, firmata già da diversi esponenti dello spettacolo e della cultura, ma il valore dell’iniziativa va al di là della sua effettiva realizzazione pratica. Come efficacemente argomentato nei giorni scorsi su questo stesso giornale, una presa di posizione così radicale ha il merito di suscitare un dibattito e far comprendere quale sia la posta in gioco nel recuperare una sana gradualità riguardo all’accesso al mondo digitale. Le conferme della dannosità dell’utilizzo di smartphone e social media nei delicati anni dell’infanzia e della prima adolescenza arrivano ormai da più fronti. L’uso precoce degli schermi ha effetti negativi sull’apprendimento del linguaggio, sulla gestione dell’attenzione, e in generale va a occupare spazi della vita del bambino che dovrebbero invece essere dedicati alla manipolazione e al movimento per favorire un corretto sviluppo cerebrale. Nell’adolescenza le problematiche si osservano invece di più sul piano emotivo, con un impatto sulla salute mentale tutt’altro che innocuo, come ribadito lo scorso anno dalla massima autorità di salute pubblica statunitense, il Surgeon General, in un rapporto dedicato al tema e come lo psicologo Jonathan Haidt, autore di “La generazione ansiosa”, appena uscito in Italia, documenta dati alla mano.

Si tratta di una situazione che rimette al centro prepotentemente il ruolo educativo dei genitori, un ruolo cui troppo spesso si abdica in nome del “così fan tutti”, cedendo sull’anticipazione del regalo dello smartphone ben prima della soglia dei 14 anni, nel timore (purtroppo assai fondato) che i propri figli, privi dell’accesso ai social e a whatsapp restino esclusi dalla vita sociale dei loro coetanei. È innegabile che su questo fronte un eventuale divieto imposto dall’alto potrebbe essere di grande aiuto. A patto però che lo si intenda come un punto di partenza per un percorso di avvicinamento alla tecnologia che ogni genitore e ogni insegnante sarà chiamato a intraprendere: gli anni senza smartphone dovranno essere anni di condivisione in famiglia dell’uso di strumenti come pc, tablet e console, ma anche di conversazioni, a casa e a scuola, sulle opportunità del mondo digitale, sui personaggi, le tendenze, i contenuti che appassionano i ragazzi, in modo da formare in loro quel necessario senso critico che poi li aiuterà a solcare in autonomia il mare del web.

Un analogo sforzo è da chiedere anche agli operatori - produttori e carrier telefonici, piattaforme social, gestori di siti web – perché s’impegnino a una seria verifica dell’età di chi accede ai loro servizi. Ben venga l’innalzamento del divieto di utilizzo dei social media ai sedici anni, ma in realtà un limite di età già esiste per tali servizi, in Italia è di 14 anni, e viene puntualmente infranto. Trovare una soluzione adeguata non è banale, pone problemi tecnologici e legali non indifferenti, ma, vista la posta in gioco, val la pena impegnarsi davvero per cercare di risolverlo. Come diceva anni fa in un vibrante discorso contro il dilagare della pornografia online l’allora primo ministro inglese David Cameron, non è possibile che società che progettano sistemi informatici di enorme complessità si arenino di fronte all’impossibilità di garantire che certi contenuti siano preclusi ai minori.

Se la petizione riuscirà a mobilitare davvero tutti i componenti di quel “villaggio” che educa e che con sempre più urgenza è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità, non sarà stata vana.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: