mercoledì 3 maggio 2017
La disoccupazione giovanile in Italia preoccupa. E il fatto che le imprese non possano accedere facilmente ai profili dei neolaureati aggrava la situazione
Cerimonia di proclamazione dei dottori di ricerca all'università di Bologna (Ansa)

Cerimonia di proclamazione dei dottori di ricerca all'università di Bologna (Ansa)

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Non passa giorno senza che si richiami e si denunci il dramma della disoccupazione giovanile italiana. Da ultimo il Presidente Mattarella, che ha fatto di questo grave problema sociale il centro del suo messaggio per il Primo Maggio. E sono i dati a pesare come un macigno: tra coloro che hanno tra i 15 e i 29 anni oltre due milioni i giovani non studiano, non lavorano e non solo all’interno di percorsi di formazione professionale. Un vero e proprio esercito composto non tanto dai disoccupati, che pur sono tanti, quanto dagli inattivi, coloro che hanno perso la speranza di una risposta e non la cercano più.

Le ragioni sono tante, e in alcuni casi giovani e famiglie hanno le loro colpe, complice un mondo del lavoro e della produzione nel quale conta sempre di più l’iniziativa individuale. E soprattutto dai dati emerge il dualismo fortissimo tra le regioni italiane che, come ha recentemente rilevato Eurostat, sono composte da esempi in linea con le medie europee e altri in cui siamo agli ultimi posti in classifica. Si comprende quindi tutta l’urgenza di favorire modalità di incontro tra mondo della formazione e mondo del lavoro, per evitare che la transizione tra di essi sia talmente prolungata da generare quello scoraggiamento che porta al limbo dell’inattività. E non facciamo riferimento solo ai profili medio-bassi, senza una formazione universitaria, ma proprio ai giovani che hanno investito tempo e risorse nella loro istruzione e che si trovano catapultati in un mondo del lavoro che non li considera o, peggio, li considera come materia prima da tirocinio con lo scopo di ridurre il costo del lavoro. In questo le università avrebbero un ruolo molto importante grazie all’obbligo di diffusione gratuita a tutte le imprese dei curriculum dei laureati. Un importante bacino al quale potrebbero attingere tutti coloro che intendono assumere e che, spesso, devono ricorrere alle italiche pratiche familistiche o amicali che certo non aiutano un corretto allineamento tra domanda e offerta di lavoro. Recenti indagini hanno però mostrato come questo non avvenga e come gli atenei sembrino essere particolarmente gelosi di questa miniera di profili dei giovani rendendo molto complesso il suo accesso o, peggio, la utilizzino per vendere ai privati pacchetti di curriculum a caro prezzo. E ad aggravare la situazione sono giunti recenti interventi delle istituzioni che governano il mercato del lavoro, volti a limitare la diffusione dei curriculum disposta dalla normativa, non aiutano certo in questa situazione. Se quindi l’Italia soffre già del grave problema del disallineamento tra formazione ed esigenze delle imprese, per cui si formano giovani con competenze che non interessano al mercato del lavoro, il fatto che le aziende non possano neanche accedere facilmente ai profili dei neolaureati non può che aggravare la situazione.

È chiaro che non basta la diffusione di un curriculum a risolvere la complessa situazione occupazionale di un laureato italiano, ma sarebbe almeno un primo passo. Soprattutto perché nelle istituzioni formative passi la coscienza che le politiche attive non spettano solo allo Stato o agli enti ad esse adibite ma a tutti gli attori che hanno a che fare con i percorsi di carriera dei giovani, a partire da chi li forma. Per questo motivo la difficile comunicazione tra scuola è impresa non potrà che essere ancor più ostacolata se l’accesso ai curriculum è vincolato a complesse registrazioni ai portali, richieste che devono essere vagliate dagli uffici competenti, acquisto di pacchetti a diverse centinaia di euro. Ma al momento la situazione è confusa e richiede chiarimenti in modo che le Università sappiano senza incertezze quali sono i loro doveri e le imprese possano sapere quali sono le istituzioni a cui possono rivolgersi per individuare i profili da loro richiesti. Non si tratta di nulla di complesso, ma è il minimo che può essere fatto per le centinaia di migliaia di giovani che si affacciano spaesati e preoccupati sul mercato del lavoro.

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