Nello stagno sempre più melmoso in cui versa l’infanzia, sia a livello nazionale che internazionale, Papa Francesco ha gettato un sasso: la proclamazione di due giornate per i bambini, il 25 e 26 maggio. Ci voleva! Un segno di speranza proprio in uno dei momenti più critici che i piccoli stanno vivendo. Nelle guerre in corso, la violenza distruttiva mira a tranciare il senso di futuro del presunto nemico. E com’è meglio farlo se non puntando proprio a coloro che rappresentano questo futuro? Sui figli si abbatte il sadismo dei combattimenti senza tanti scrupoli, visto che colpire i bambini ha sempre meno impatto sull’opinione pubblica. Lo sdegno e l’indignazione non la raggiungono. Sembra mancare un aggancio.
Ed è così: i bambini e le bambine sono usciti dall’immaginario comune, in Italia come nel resto del mondo. Costituiscono un’incombenza per chi li ha, i genitori, ma non un investimento per una comunità più ampia e per tutta la società. Vengono relegati a una questione privata. Di recente, ha avuto molto successo il libro della francese Hélène Gateau dal titolo estremamente esplicito ed emblematico: Perché ho scelto di avere un cane (e non un bambino). In una sua udienza a gennaio 2022, suscitando un certo scalpore, il Papa sottolineò che l’interesse per gli animali domestici sembrava maggiore a quello verso i bambini e le bambine: «Tante coppie non hanno figli perché non vogliono o ne hanno uno solo.
Ma hanno cani e gatti, che occupano il posto dei figli». Io stesso sono intervenuto sull’utilizzo del passeggino dei bambini per trasportare i cani. Nulla di grave, ma quando mi imbatto in questa nuova configurazione percepisco un senso di rottura del retroterra simbolico che fino a neanche tanto tempo fa condividevamo. In Italia, l’ultima straordinaria operazione a favore dei diritti dei bambini e delle bambine risale al 1997: con la Legge 285, il Governo Prodi istituiva un fondo per il finanziamento di progetti destinati specificamente a questo ambito.
Un tentativo di risarcirli per una condizione di vita che si avvertiva progressivamente deteriorarsi sul piano della qualità: meno gioco e meno socialità, tanto consumo televisivo e bombardamenti pubblicitari di ogni tipo, allontanamento drastico dagli ambienti naturali per ritirarsi sempre più fra le quattro mura domestiche. In altre parole, stava emergendo una cultura che, nel rendere i bambini talmente preziosi dal doverli conservare a tutti i costi, poneva, e pone, il tema della sicurezza come prioritario rispetto alla qualità della loro vita, tanto più alla qualità educativa. Uno dei casi più eclatanti è aver preferito, in alcune Regioni, la collocazione delle telecamere negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia piuttosto che investire in maniera seria e significativa sulla formazione pedagogica delle insegnanti.
Ma è stato durante il Covid che tutti questi equivoci si sono coagulati in una sorta di campagna che puntava a dichiararli come i nuovi untori, specialmente nei confronti dei nonni da cui dovevano stare lontanissimi. Allo stesso tempo, proprio nei mesi più duri del lockdown, si poteva uscire con un cane, ma non con un bambino. E nonostante i dati epidemiologici non supportassero esigenze particolari, rispetto al resto d’Europa le scuole italiane rimasero chiuse più a lungo e le restrizioni particolarmente contratte sulla vita dei piccoli che si trovarono senza parchi gioco e, soprattutto, privati delle necessarie occasioni di socialità. Le feste di compleanno erano bandite. Ricordo che per ben tre anni, chi è nato a marzo, non ha potuto festeggiare in compagnia. La salute emotiva e psicologica dei bambini e tanto più dei ragazzi ne ha risentito senza mezzi termini. Ancora oggi ci troviamo a fare i conti con un’emergenza che avremmo potuto ridurre significativamente.
Un appuntamento come quello lanciato da Papa Francesco sarà un’ulteriore occasione per ricordare l’importanza di sostenere i genitori nel loro compito educativo con la consapevolezza che l’inverno demografico non è semplicemente una questione sociologica, come vorrebbe qualche analista di stampo economi-cistico, quanto piuttosto una scarsa condivisione dei valori dell’infanzia, la mancanza di una comunità che se ne faccia carico. I genitori non possono essere lasciati da soli in questo compito. Mi auguro che questo sasso nello stagno generi delle onde benefiche, anche provocatorie, che ci restituiscano la consapevolezza che «un mondo dove stanno bene i bambini e le bambine è un mondo dove stanno bene tutti».
Pedagogista