Dopo l’avvio dell’invasione il 24 febbraio, quella che si è conclusa nel giorno 266 del conflitto è stata la notte più lunga della guerra in Ucraina. Una notte che ha fatto temere un possibile allargamento delle ostilità con il coinvolgimento della Nato in virtù dell’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico, dopo la caduta di almeno un missile in territorio polacco e la conseguente morte di due incolpevoli contadini, probabilmente le prime vittime al di fuori dei confini dei due contendenti.
Sono state ore di paura che hanno messo a dura prova i nervi di tutti i protagonisti della crisi. A lanciare l’allarme, sulla base dell’identificazione dei resti con gli S300 di fabbricazione russa, era stata la Polonia, insieme alla stessa Ucraina, unite nel puntare l’indice contro Mosca. L’immediata smentita non è servita a ridosso del fatto a placare gli animi e si è così discusso freneticamente di scenari in cui l’intera Alleanza Atlantica avrebbe dovuto intervenire in difesa di un suo Paese membro sotto attacco. Qualcuno ha provato a ricordare che non ci sono automatismi e che si deve decidere sulla base di una decisione presa dopo ampie consultazioni, come avvenne per l’unico ricorso alla “difesa comune”, quello che seguì gli attentanti alle Torri gemelle di New York l’11 settembre 2001.
Ma già sul finire delle notte europea, quando a Bali, sede del G20 era già mattina, il presidente Biden, informato dall’intelligence, smorzava la tensione, annunciando che difficilmente si poteva pensare che il missile fosse partito dal territorio della Federazione. Non sarebbe passato molto tempo prima che anche la Polonia e altre fonti Nato avvalorassero la ricostruzione di un “incidente” occorso durante la difesa dal massiccio attacco contro obiettivi strategici ucraini ordinato dal Cremlino. Un S300 della contraerea di Kiev lanciato per intercettare un’incursione dal cielo nell’Ovest del Paese, con una dinamica ancora da ricostruire, ha finito la sua corsa poco oltre il confine polacco uccidendo due persone a Przewoduv. L’ammissione implicita, un po’ imbarazzata, alla fine è arrivata anche da Kiev.
A Bruxelles una conferenza stampa del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha circoscritto l’episodio e definitivamente scongiurato il rischio di un’ulteriore escalation nel cuore dell’Europa, con il coinvolgimento diretto dell’Alleanza in una guerra contro Mosca. Varsavia ha affermato che si è trattato di una tragica fatalità, mentre il presidente Zelensky ha tenuto una linea di basso profilo, salvo poi provare a ribadire che il missile caduto è russo. Quasi unanime l’attribuzione della responsabilità a Mosca, che ha sferrato l’attacco dal quale l’Ucraina ha cercato di difendersi con i mezzi a disposizione. Dalla Russia, che ha parlato di provocazione è giunto comunque l’apprezzamento per la cautela manifestata fin dall’inizio dalla Casa Bianca.
Proprio da qui si può ripartire per valutare le conseguenze sull’evoluzione della crisi di queste drammatiche ore vissute sul filo del rasoio. Da giorni i contatti tra Mosca e Washington si sono intensificati e l’Amministrazione Biden cerca di ampliare un canale di dialogo per farvi confluire appena possibile anche l’Ucraina. Gli aiuti militari non si fermano - un altro pacchetto da 37 miliardi di dollari è in arrivo (per un totale di circa cento miliardi di sostegno non solo bellico complessivo) – ma c’è anche la volontà di tentare una via diplomatica per raggiungere una tregua.
Putin intanto si è visto più isolato al G20 di Bali, dove l’India ha fatto un passo verso il fronte occidentale e la Cina non ha mutato la sua ambiguità di fondo, ma qualche ulteriore segnale di avvertimento verso l’alleato l’ha lanciato, in particolare sul fronte delle armi di distruzione di massa. L’azione mirata a lasciare senza elettricità e senz’acqua le città ucraine – costata, secondo alcune stime, un miliardo di dollari in armamenti – è stata una reazione sia all’esultanza del nemico per la riconquista di Kherson sia una risposta al mutato quadro internazionale.
Sembra che il Cremlino voglia proseguire un conflitto che lo vede in grave difficoltà sul campo – sono recentissime altre avanzate di Kiev nell’Est, il 50% del territorio invaso è stato riconquistato –, ma che spera di ribaltare mettendo alle corde la popolazione civile ucraina in un inverno che si annuncia buio e freddo. L’episodio del missile finito in Polonia rende evidente che la guerra dei cieli sarà quella decisiva a breve termine.
La Nato non intende essere coinvolta direttamente e lo ha fatto capire chiaramente ai “falchi” di Kiev, che potrebbero volere sfruttare altri casi come quello in questione per allargare il conflitto e ottenere che l’Occidente entri in campo al loro fianco. Ma l’Alleanza potrebbe aumentare il contributo di armamenti difensivi per rendere spuntata anche l’ultima arma efficace di Putin, quella che prende di mira i civili e le infrastrutture energetiche.
Forse a quel punto la Russia potrebbe rendersi conto che una trattativa, certo non imperniata sui dieci punti proposti da Zelensky al G20, è anche nel suo interesse, dato che il prospettato ricorso alla bomba nucleare come ultima risorsa è stato rintuzzato dagli Stati Uniti con la chiara esposizione degli effetti che esso avrebbe per Mosca. Fino a che non capirà che ha ormai solo una via di uscita diplomatica, pur con tutti consapevoli dei rischi enormi che si stanno correndo, difficilmente il Cremlino metterà fine alla sua aggressione.