È un’umanità lacerata, smarrita e inconsapevole quella che il Papa ritrae nel suo “rapporto sullo stato del mondo” consegnato – ieri, come a ogni inizio d’anno – al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, l’occasione nella quale la Chiesa apre la sua agenda davanti alle cancellerie e all’opinione pubblica mostrando in modo sempre plastico e sorprendente come in essa si rifletta uno sguardo opposto rispetto a quello che domina la scena globale. Non è l’esibizione di un punto di vista virtuoso, che si condanna da sé all’irrilevanza per la sua astrattezza: è un mappamondo della vita umana nel suo diritto naturale di svilupparsi in pace, oggi negato e offeso con spietatezza e indifferenza (che spesso coincidono) ma non per questo meno degno di essere riaffermato con energia e convinzione.
Il Vangelo non è un’ideologia, la storia della salvezza si svolge fianco a fianco con quella del mondo per abbracciarla e cambiarle il destino, in una scelta di amore e non di supponenza. Al podio del leader, alla cattedra del professore, allo scranno del giudice Dio preferisce la stalla per animali in cui si fa neonato inerme. È tutta lì, la differenza. E la visione del mondo che si sprigiona da quell’irruzione dell’eterno nel tempo non può che spingere per sempre a raccontare tutta un’altra storia.
La stessa che percorre le parole di Francesco agli ambasciatori, ispirate da uno di quei concetti che il Papa ama creare come nuovi paradigmi: della «diplomazia della speranza» declinata ai rappresentanti degli Stati nelle sue quattro possibili accezioni – la verità, il perdono, la libertà, la giustizia – «affinché le dense nubi della guerra possano essere spazzate via da un rinnovato vento di pace» sentiremo ancora parlare a lungo. E non solo per la pertinenza alla scelta di un Giubileo che alla speranza affida il suo cammino dentro il buio che grava sul domani collettivo. Un mondo di «vagabondi disperati» e con «un generale senso di paura e di sfiducia verso il prossimo e verso il futuro», disorientato tra «negazione di verità evidenti», «tendenza a crearsi una propria verità», «manipolazione della coscienza» e «semplificazione della realtà», ha bisogno di ritrovarsi in un «linguaggio comune», perso il quale tutto è possibile. E questo alfabeto condiviso tra l’intera umanità non può che ritrovarsi nel risalire alla sola sorgente condivisa, la vita che tutti accomuna nel suo valore assoluto: negata dalle armi, offuscata dal disprezzo per i più poveri (come i migranti), stravolta nell’odio che divide interi popoli, ma che resta codice elementare, innato, evidente sotto ogni sole.
A inquietare il Papa infatti non c’è solo la «sempre più concreta minaccia di una guerra mondiale», che già basterebbe: sul piano della mentalità plasmata da «ideologie che dividono» e «calpestano i valori e la fede dei popoli» Francesco denuncia l’azione disgregante della «cancel culture», un metodo totalizzante di giudizio sulla realtà che «non tollera differenze e si concentra sui diritti degli individui, trascurando i doveri nei riguardi degli altri, in particolare dei più deboli e fragili». Sono loro i veri signori della storia, perché il Dio Bambino questo mostra ancora alla nostra incredulità. E tra i diritti negati campeggia certamente il diritto alla vita al quale si oppone radicalmente quel «“diritto all’aborto”» che Francesco qualifica come «inaccettabile» perché «contraddice i diritti umani»: «Tutta la vita – spiega – va protetta, in ogni suo momento, dal concepimento alla morte naturale, perché nessun bambino è un errore o è colpevole di esistere, così come nessun anziano o malato può essere privato di speranza o scartato». È questo “diritto dei diritti” a fondare relazioni internazionali che spostano la logica di potenza e di dominio per far spazio all’umanità. Se si assume una volta per tutte che sia la persona con la sua inesauribile dignità che orienta la politica – l’economia, la cultura, l’intera storia –, a cercare e ottenere la pace potrà essere una “diplomazia della speranza”, capace con la sua opzione preferenziale per la vita di «spezzare le catene di odio e vendetta che imprigionano» e «disinnescare gli ordigni dell’egoismo, dell’orgoglio e della superbia umana, che sono la radice di ogni volontà belligerante che distrugge». La garanzia di un planisfero riconciliato, con il debito rimesso dei conti in sospeso tra le nazioni, secondo la logica giubilare dell’incontro. Di questa speranza abbiamo bisogno, dai palazzi del potere alle strade della gente. O non è la pace che davvero desideriamo?
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