Un frame del video in cui è ripreso il probabile speronamento dei due ragazzi, cui ha fatto seguito la morte di Ramy in Corvetto - Fotogramma
Una moto che non si ferma all’alt in zona di movida, dietro a corso Como, la notte del 24 novembre. Sembra una faccenda banale, che si risolve dopo due isolati – guida senza patente, una catenina d’oro e, quei due ventenni, un po’ troppi soldi in tasca. Invece, poco prima delle quattro del mattino, in una Milano che nelle dashcam delle gazzelle dei Cc è tanto deserta quanto livida, si scatena una caccia all’uomo forsennata: otto chilometri, venti minuti, le sirene che urlano nella città che dorme. È normale inseguire chi non si ferma a un alt, ma fino a che punto lo è incalzarlo in una corsa folle, cercando di fare perdere l’equilibrio a una moto? Nelle registrazioni agli atti della Procura l’intento di chi guida è chiaro: un incrocio in via Moscova, “Vaff…non è caduto”, esclama un carabiniere su Volpe 40. Poi : “Stringi, che lo prendiamo...” e infine, 4.03 minuti, periferia sud, via Ripamonti angolo via Quaranta: «È caduto». E un collega, via radio, in risposta: «Bene».
Non era esattamente caduta la moto su cui viaggiava Rami Elgaml, 19 anni, egiziano, guidata dall’amico 22 enne Fares Bouzidi, senza patente. Una telecamera stradale inquadra la curva ad alta velocità, moto e gazzella attaccate, e infine lo spaventoso schianto dei due ragazzi contro un semaforo, e l’auto che piomba loro addosso. Morto sul colpo per rottura dell’aorta Ramy, egiziano, figlio di immigrati al Corvetto, sopravvissuto l’amico. Il giorno dopo il quartiere è una barricata, la gente scoppia di rabbia. Perché qualcuno ha visto, ha girato un video, e due carabinieri gli hanno intimato di cancellarlo. Ma l’uomo, evidentemente, ha raccontato. Ora l’autista di Volpe Quaranta è accusato, come Fares Bouzidi, di omicidio stradale, e i due che hanno minacciato il teste devono rispondere di frode e favoreggiamento.
Molto brutta, la storia. A 20 anni si possono fare errori e sciocchezze, che non meritano però, per punizione, la morte. Ora la domanda è: quando un inseguimento normale – immaginiamo che ne accadano di simili ogni notte – è diventata una caccia all’uomo. Una vera e propria caccia: quei due sciocchi con i loro vent’anni e una catenina d’oro forse loro, forse no, inseguiti come lepri. Cercando di farli cadere, in ogni modo, ad ogni costo. Non erano kamikaze pronti a colpire, né infiltrati dell’Isis. Erano due ragazzi del Corvetto su una moto che andava forte, e il guidatore, senza patente, ha avuto paura.
La domanda, torno a dirmi, è quando, e perché quei due scappati a un alt sono diventati prede da stringere a cento all’ora, e infine mosche da schiacciare in una curva mortale. In che momento di quella notte, e perché lo sono diventati.
Cosa è accaduto, Volpe 40? Immagino quei due carabinieri probabilmente molto giovani, stressati da un lavoro pericoloso e da una città, sotto alle luci trendy, più incanaglita di quanto sembri. Sono stata recentemente al Corvetto. Tutti i ragazzi erano figli di immigrati, tutti gli italiani erano vecchi, gli ultimi rimasti in case popolari da cui chi ha potuto se ne è andato. C’era un bar, a un angolo: dentro, ai tavoli, una platea di anziani italiani fissava ipnotizzata il tabellone delle estrazioni di quella lotteria che dà i numeri ogni pochi minuti. Quando una lotteria è l’ultima speranza, vuol dire che di speranza ne è rimasta poca. A due chilometri dal centro, la Milano delle badanti, dei facchini, dei fattorini, e dei loro figli, che non vogliamo dire italiani. Un’altra Milano, che mi aveva ammutolito.
E i due del 24 novembre, cresciuti lì, oltre l’invisibile muro che divide le periferie dalla metropoli che scintilla. Una moto veloce, una bravata, un’idiozia. Morire a 19 anni con l’aorta spezzata, per una bravata. Contro a un semaforo, con una gazzella dei Cc addosso. «Sono caduti». «Bene». Che epitaffio. Quella notte perché tanto accanimento, da vigilantes più che da uomini delle Forze Armate italiane, e le menzogne poi? Che è successo, Volpe 40, nelle vostre teste? Perché?