La richiesta ormai generale di riduzione dei “costi della politica” ha una sua prima risposta forte: l’abolizione – graduale nel tempo, ma alla fine totale – del sistema dei rimborsi elettorali, Un sistena che rappresentava l’escamotage per scavalcare il divieto di finanziamento pubblico dei partiti stabilito, a suo tempo, per via referendaria. La proposta di legge elaborata dall’esecutivo naturalmente non può e non vuole abolire i “costi della democrazia”, della quale i partiti sono un veicolo fondamentale. Passare da un finanziamento pubblico che, per l’uso disdicevole che ne è stato fatto in certi casi e per la generale assenza di trasparenza e di controlli efficaci, era diventato indifendibile, a un sistema di finanziamento da parte dei privati, cittadini e imprese, agevolato fiscalmente e integrato dall’offerta di servizi materiali da parte dello Stato, è un percorso in sé virtuoso, ma non privo di insidie e di problemi.
C’è il problema immediatamente sollevato dal Movimento 5 Stelle, in forma come sempre polemica, che riguarda le condizioni soggettive che vengono poste ai partiti per l’accesso alle agevolazioni fiscali dei contributi privati: la trasparenza dei bilanci e la definizione statutaria del metodo democratico adottato per le deliberazioni sull’impiego di quelle risorse. Si tratta in sostanza delle stesse norme che regolano le associazioni non riconosciute, nel caso in cui accedano a qualche forma di finanziamento o di contratto pubblico, le meno invasive previste dal codice civile, ma in ogni caso bisognerà evitare che questi vincoli appaiano come strumenti di esclusione o di controllo dall’alto della libera organizzazione politica.
Un altro aspetto che richiede un esame attento è la provenienza dei finanziamenti privati. È importante che i partiti attuali o futuri convincano fasce abbastanza ampie di cittadinanza a sottoscrivere per il loro finanziamento, in modo da mantenere il carattere di formazioni popolari, che sarebbe messo in forse se invece, in assenza di un sostegno consistente da parte dei cittadini, il grosso del finanziamento arrivasse da imprese, che sono portatrici di interessi legittimi, ma settoriali. Da questo punto di vista è importante anche la questione della pubblicità dei contributi da parte delle aziende e, al contrario, della segretezza delle scelte di finanziamento politico operate dai singoli cittadini contribuenti.
È bene che si sappia quali aziende finanziano quali forze politiche, perché questo può essere un elemento su cui basare il proprio giudizio e il conseguente comportamento elettorale. È pericoloso invece che in qualche modo si possa identificare l’orientamento politico dei contribuenti in base alla loro scelta di finanziamento, che non equivale al voto ma del quale deve essere garantita nello stesso modo la segretezza, che è un diritto costituzionale.
I problemi applicativi di un passaggio che cambia nel profondo la fisiologia delle forze politiche sono rilevanti e debbono essere affrontati con serietà e ponderazione, senza semplicismi scandalistici che spesso finiscono per ottenere risultati opposti a quelli enunciati. Ciò non toglie che la decisione del “governo di servizio” di affrontare già all’inizio della sua esperienza un nodo complesso e controverso come quello della riduzione dei costi della politica rappresenti un fatto significativo e un importante banco di prova per la collaborazione inedita e difficile tra forze politiche che sono state e saranno alternative, ma possono trovare intese utili al Paese anche sulle nuove regole del gioco politico.