mercoledì 17 luglio 2024
Il Paese è molto cambiato, il regime del Nord non spaventa più i ragazzi, l’accesso alle migliori università resta la maggiore fonte di speranza ma anche di ansia. Il mito della carriera però vacilla
Vita notturna a Seul

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La maggiore fonte di speranza ma anche di ansia e spesso di frustrazione della Generazione X sudcoreana sono i test di ingresso all’università, che solitamente li coinvolgono per otto ore nel primo giovedì di novembre. Non una novità, perché il sistema – che anche nella denominazione, suneung, richiama gli esami di accesso ai ranghi della pubblica amministrazione del lontano passato - è stato un incubo per gli studenti negli ultimi sessant’anni. Più volte sottoposto a revisione, resta la principale fonte di stress e - apparentemente - l’unico elemento di continuità fra questa generazione e quelle che l’hanno preceduta. La Corea del Sud è oggi molto diversa da quella di trent’anni fa, ma eoni lontano da quella uscita da una delle più devastanti guerre del secolo scorso, oltretutto fratricida contro quella che è l’attuale Corea del Nord. Un mondo a parte rispetto al Sud capitalista, che è vitale, giovane perché di recente benessere e perché si propone all’esterno con esportazioni ad alto contenuto tecnologico ma anche con un’immagine pop, fashion ed estetica di tendenza.

I 70mila presenti all’esibizione del 13 luglio a Milano degli Stray Kids, tra i più affermati gruppi K-pop di ultima generazione, hanno confermato il seguito crescente che la realtà musicale Made in Korea va registrando ben oltre il pubblico di riferimento asiatico, centennial e disimpegnato. Quando nel 2012 il rapper Psy travolse con il suo Gangnam Style la scena musicale internazionale fino ad allora meno attenta verso il “fenomeno” Kpop che già da tempo allineava produzioni, artisti e brani di valore, l’immagine di una popolazione giovane di elevato livello sociale e di ampie possibilità economiche, per quanto manipolata e imposta, corrispondeva se non alla realtà di tutti, almeno alle aspirazioni di molti. Oggi le luci di Gangnam, quartiere glamour di Seul sono più fioche e non solo per l’emergere di altre aree modaiole in questa metropoli di dieci milioni di abitanti, che è il vero raccordo del Paese con il mondo, il suo volto insieme più espressivo, aperto e a volte arrogante. L’incertezza colpisce le possibilità e il mood dei giovani della capitale più del timore per l’invadente vicino del Nord che a soli trenta chilometri di distanza è perso nella dimensione guerrafondaia, repressiva e infinitamente più povera che i ventenni del Sud – per i maschi con un intermezzo nella leva obbligatoria - tendono perlopiù a ignorare, delegando ai genitori memoria e inquietudini.

N on che i giovani sotto i 25 anni vivano nella smemoratezza, ma questa allenta la tensione degli esami, occulta un futuro più incerto; accentua anche la dipendenza dall’evasione, dal lusso, dalla passione per cibo e alcolici nonostante l’immagine diafana e emancipata degli artisti e attori di grido. Rende anche più tollerabile una quotidianità competitiva per tutti ma che per la parte femminile è segnata da una doppia pressione: la discriminazione in diversi ambiti della vita di relazione e lavorativa, la difficoltà di accedere a ruoli che ne riscattino capacità e diritti. Così, nelle sue varie forme la moderna cultura pop, magmatica ma quasi mai trasgressiva, è anche di sollievo per molti e a tanti lo star system propone una via d’uscita da ruoli e da canoni di comportamento ormai più forzati che accolti.

Se entrare nella scuola “giusta” resta forse il traguardo principale e raggiungerlo è la battaglia della vita, l’esistenza dei centennial sudcoreani non si esaurisce però nell’annuale “campagna degli esami” preceduta da intenso studio nelle aule scolastiche e spesso fino a tarda sera nei corsi di recupero e di preparazione ai test e nemmeno nell’adesione a modelli indicati e in parte imposti dalle major che macinano artisti e tendenze. Il tempo libero si spalma su un’offerta illimitata di video, musica, games, chat; del rastrellamento dei social tra gossip e informazione che si avvale di strumenti di comunicazione e svago onnipresenti e di ultimissima generazione. Forte la socialità, per quanto concesso dai ritmi degli studi o dall’accesso al lavoro, e la frequenza di luoghi di ritrovo (analcolici fino alla maggiore età di 18 anni), però niente tatuaggi perché connessi con l’appartenenza al sottobosco malavitoso o criminale e messi al bando per legge. Ci sono poi i joy boots, le “cabine della felicità” dove ci si scatta fotografie in compagnia e con fondali a scelta, da raccogliere in album che sono diventati accessori indispensabili per i teen-ager ma, come per altre manifestazioni di cultura giovanile, vanno filtrando gradualmente nella quotidianità della popolazione adulta a sua volta incerta sui risultati e prospettive di una vita spesa a costruire un futuro per se stessi e per il Paese.

Quella che a volte è coincidenza di interessi non elimina però il conflitto che si ritrova nel vocabolo ggondae in voga dagli anni Sessanta che indica un in-dividuo che si ritiene sempre nel giusto, che basa i rapporti interpersonali su età o autorità piuttosto che sul riconoscimento della diversità. Il suo utilizzo si è radicalizzato nel confronto fra MZ ( millenials) e Zalpha ( centennials), termini che nell’uso comune coreano veicolano pregiudizi e presunzioni. Vero è che, anche per i cambiamenti rapidi che hanno portato il Paese oltre la svolta del millennio e del secolo, la nascita dei neologismi connessi con l’appartenenza per età sottolineano il gap generazionale. Gli effetti sono evidenti e non rispondono solo alla logica di una rapida evoluzione sociale e tecnologica ma anche a un altrettanto rapido cambiamento di visione da una fascia di età tesa a procurarsi il benessere a una che questo benessere acquisito intende godersi. Così mostrano le statistiche, che per i centennial associano al primo posto shopping, svago, tecnologia di consumo e al secondo la carriera seguita dalla cura del proprio aspetto. Se l’amicizia resta tra le priorità, l’avvio di rapporti sentimentali è a metà della scala delle preferenze preceduto e seguito dal soddisfacimento di altri bisogni individuali.

Oltre al rifiuto di rapporti sociali imposti e forse anacronistici che già era e resta presente fra i millennial, nell’ultima generazione che si affaccia a ruoli produttivi e familiari l’insofferenza va facendosi rifiuto e reazione, mettendo da un lato in discussione metodi e regole palesemente obsoleti o discriminatori ma anche ponendo la propria individualità al centro con effetti dirompenti in una società che ancora conserva tratti confuciani. Come riconosce un recente articolo del Korea Times, «si è portati a ritenere che questi conflitti siano la risposta naturale a un contesto sociale e tecnologico in rapido cambiamento, tuttavia, si evidenziano anche aree oscure di un conflitto generazionale e se esaminiamo le modalità di vita di un “Z” si resta incerti su chi siano i veri ggondae ». In questo senso, significativo è l’aumento dei casi di aggressione di insegnanti da parte degli studenti, come pure dei suicidi fra i docenti. «Si riscontra un aspetto unico della società coreana, che si potrebbe descrivere come famiglia-centrica o come un atteggiamento egoistico della famiglia. I genitori investono pesantemente sulla prole e non possono tollerare la sensazione che i loro figli siano nel torto. Questo senso distorto di privilegio genitoriale, associato al grande valore che danno all’educazione dei figli sta portando alla violazione dei diritti degli educatori», segnala Jung Jae-hoon, docente di Politiche del welfare all’Università femminile di Seul. Un aspetto che mette in discussione il ritratto luccicante e di successo della gioventù coreana.

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