I fondi ci sono, ora si perfezioni lo strumento di lavoro e formazione Caro direttore, si chiama apprendistato. È un contratto di lavoro di natura mista – lavoro e formazione – che dà luogo ordinariamente al conseguimento di un titolo di studio, dalla qualifica professionale alla laurea. È adottato in tutta Europa e rappresenta una strada rilevante sia per offrire un percorso di studio in forma duale, sia per facilitare l’inserimento lavorativo dei giovani. Fa eccezione l’Italia, dove con la parola 'apprendistato' si fa riferimento a istituti con una significativa differenza. Ci sono, in primis, gli apprendistati di primo e terzo livello.
Quello di primo livello – «apprendistato formativo» – è riservato ai giovani fino a 25 anni e dà luogo all’acquisizione di una qualifica o diploma professionale oppure al diploma di scuola secondaria. È stato riformato recentemente – all’interno del Jobs Act del 2015 – con un intervento che ha incrementato a circa 500 le ore di formazione in azienda e un collegamento stretto con l’istruzione e la formazione professionale. L’apprendistato di terzo livello – apprendistato di alta formazione e ricerca – poi ha ugualmente un’importante componente formativa e mira a far conseguire al giovane (fino ai 29 anni) la laurea. Infine, c’è l’apprendistato di secondo livello – professionalizzante o di mestiere – con una limitata componente formativa e un sotto-inquadramento di due livelli per l’intera durata del contratto.
Dove sta quindi l’anomalia italiana? Nel fatto che, mentre con la riforma del 2015, si è dato un profilo europeo agli apprendistati di primo e terzo livello, rafforzandone la componente formativa e agganciando il contratto al conseguimento di un titolo di studio; al contrario, per l’apprendistato professionalizzante, la componente formativa è stata ridotta a 40 ore annue. Per di più è stato cancellato l’obbligo da parte delle Regioni di finanziare i percorsi professionalizzanti di formazione trasversale e, quella poca formazione che viene erogata, assume le caratteristiche di mero aggiornamento sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. I contratti di apprendistato di primo e terzo livello, seppur spinti dall’efficace sperimentazione effettuata tra il 2016 e il 2018, hanno finora avuto una scarsa accoglienza: sono rispettivamente circa 11mila i primi e mille gli altri ogni anno.
Quello professionalizzante, per via dei i minori costi per il datore di lavoro e i minori vincoli per la formazione, si sono invece attestati intorno ai 350mila all’anno. In questo quadro, la confusione su cosa voglia dire effettivamente apprendistato e che significato abbia la 'valenza formativa' si è estesa, anche per il modo indistinto con cui gli organi preposti comunicano i dati. Ora, con il Pnrr, in cui oltre a un ridisegno delle politiche attive del lavoro, vengono indicati specifici stanziamenti volti a rafforzare il sistema duale sia mediante l’apprendistato formativo (600 milioni di euro ), sia con gli Istituti Tecnici Superiori (1,5 miliardi). Questa positiva scelta rischia però di essere vanificata se non si porrà mano ad almeno tre diversi interventi. In primo luogo, occorre riformare l’apprendistato professionalizzante, ridenominandolo come «contratto di inserimento lavorativo », mantenendo la previsione di condizioni facilitanti per l’assunzione, ma ampliandone l’utilizzo a tutte le tipologie di transizione al lavoro, sia lunghe (Neet, disoccupati di lunga durata, percipienti il reddito di cittadinanza ) che brevi (Naspi).
Andrebbe altresì introdotto, onde evitare comportamenti opportunistici da parte delle imprese, un vincolo, differenziato per fasce dimensionali, di assunzioni a tempo indeterminato di una quota parte delle persone con contratto di inserimento. Fatta questa operazione, il termine apprendistato indicherebbe solo i contratti a 'valenza formativa', ovvero di primo e terzo livello. Per questi sono necessari sia una campagna comunicativa per farne comprendere la specificità, sia adeguate risorse del Fondo sociale europeo per coprire i costi dei tutor aziendali per le imprese e quelli del placement (il collocamento) per le istituzioni formative. Infine, occorre prevedere l’adozione di un’unica piattaforma informatica in grado di monitorare lo sviluppo dei percorsi di apprendistato sia dal lato delle istituzioni formative sia delle aziende.
Una terza urgenza riguarda la possibilità di rendere effettivamente fruibile nel sistema duale la filiera formativa che parte dalle qualifiche professionali fino ai 'Certificati di specializzazione tecnica superiore' (questi ultimi rilasciati dagli Ifts). Tale operazione potrebbe consentire, grazie alle risorse del Pnrr, di far diventare l’apprendistato formativo e i percorsi di istruzione tecnica superiore la via maestra per un giovane sia nel conseguire un titolo di studio in forma duale sia nell’acquisire competenze spendibili sul mercato del lavoro. In ultimo, va evidenziato come le riforme e gli interventi operati negli ultimi anni hanno dimostrato che questi percorsi sono particolarmente efficaci sia per abbattere i tassi di abbandono scolastico – oggi in Italia significativamente sopra la media Ue – sia per ridurre il mismatch( il mancato incontro) tra le competenze richieste dalla aziende e quelle in possesso dei giovani.
Presidente di Terzjus