La morte di Lorenzo Parelli – il diciottenne ucciso venerdì scorso da una putrella d’acciaio nella fabbrica in cui completava la sua formazione professionale – ha riacceso il dibattito sull’alternanza tra scuola e lavoro e sul sistema duale di apprendimento. A tratti anche in modo fuorviante e strumentale, confondendo piani, mezzi e fini.
Il punto centrale è che una persona, un ragazzo, in un ambiente di lavoro ha perso la vita. E su questo dato – tanto doloroso e inaccettabile per la nostra coscienza, quanto purtroppo reale e non isolato – occorre concentrare prioritariamente l’attenzione. Per capire innanzitutto che cosa abbia determinato l’incidente mortale. E ovviamente per verificare se vi siano delle responsabilità, dolose o colpose.
Lo diranno le indagini, lo stabilirà il tribunale. Certo sarebbe ancora più terribile e doloroso, questo lutto che colpisce la famiglia Parelli e tutti noi, se emergesse che non di fatalità si è trattato ma di una cattiva gestione dei macchinari o peggio, come accaduto per Luana D’Orazio, della rimozione di presidi di sicurezza. Quel che va accertato prioritariamente, insomma, è ciò che è accaduto nel capannone affinché non accada più. Soprattutto, va chiarito in quali condizioni Lorenzo fosse lì, non il perché della sua presenza nella fabbrica. Ciò che va indagato, infatti, è se sia stato informato dei rischi, se per lui siano state adottate adeguate misure di sicurezza, se fosse formato e seguito a dovere. Ma senza tagliar corto od obiettare ideologicamente che uno studente in formazione professionale non debba metter piede in un ambiente di lavoro.
Anzitutto, perché se l’incidente fosse capitato tra un anno – quando presumibilmente e sperabilmente Lorenzo fosse stato assunto in quella stessa impresa con un contratto a tempo indeterminato – la tragedia sarebbe stata ugualmente straziante e inaccettabile. E poi perché è un errore pensare che lo studio e l’esperienza lavorativa debbano essere momenti rigidamente distinti, che non comunicano tra loro, senza terreni comuni di conoscenza e incontro. Per i percorsi tecnici e di formazione professionale certamente, ma a tutti i livelli e nei diversi ambiti di istruzione.
Conoscere direttamente mestieri e professioni, 'toccare con mano' il lavoro, le responsabilità che comporta, le relazioni che vi si sviluppano, partecipare alla 'creazione' di un oggetto, di un progetto, di un servizio per altri rappresentano esperienze fondamentali mentre si completa la propria istruzione e si inizia a scegliere quale futuro costruire. Così come – dall’altro lato – oggi non solo è auspicabile, ma va rivendicato come diritto, che i lavoratori possano alternare alla loro attività periodi di formazione e di studio. Aula e ufficio, banco e bancone di lavoro sono due mondi che sempre più dovranno fondersi in coesistenza e alternanza piuttosto che separarsi fisicamente e temporalmente. Perché profondamente complementari, tanto dal punto di vista professionale quanto a livello umano.
Sbagliato, invece, pensarli semplicisticamente l’uno il paradiso della libertà e l’altro l’inferno dello sfruttamento, in una visione meramente classista dei rapporti sociali, dove esistono solo sfruttati e sfruttatori. Pensiero che, in un’eterogenesi dei fini, finisce per non aiutare proprio coloro che hanno maggiore bisogno dell’opera di tanti maestri in ambiti diversi, di un più ampio e migliore accompagnamento nella vita. Che non si risolve in un astratto programma culturale calato dall’alto, ma che ha necessità in particolare di un di più di umana compagnia e di esperienze tangibili.
Senza nulla togliere alle possibilità di aprire la propria mente, di imparare a sognare e nutrire le speranze attraverso lo studio sui libri. Questo è il senso autentico dei percorsi duali di istruzione e lavoro. Che andrebbero ampliati e ben regolamentati, piuttosto che limitati o peggio proibiti, proprio mentre si fa giustamente pulizia di tante forme di lavoro 'improprio'.
Certo, tutto questo va fatto ricercando, anzi pretendendo la massima sicurezza e trasparenza dei rapporti, tanto nelle scuole quanto nei luoghi di lavoro. Che si tratti di ancora studenti o di già lavoratori cambia poco: la vera 'lotta di classe' (e 'in classe', dove si possono formare donne e uomini consapevoli) su cui impegnarsi consiste nel far sì che la logica del profitto e le ideologie non prevalgano mai sulla dignità delle persone.