mercoledì 16 aprile 2025
Oltre alla giovanissima età dell’assassino, impressiona l’efferatezza del gesto e la mancanza di un apparente movente. Rimbocchiamoci le maniche, armiamoci di pazienza e tentiamo di capire
Il dolore per la morte di Davide, 19 anni

Il dolore per la morte di Davide, 19 anni - ANSA

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Domenica delle Palme. Sono le cinque del mattino, quando Davide, un bel ragazzo di 19 anni, viene freddato a Cesa, da tre colpi di pistola come un mafioso vecchio stampo, in una sala slot, a pochi chilometri da casa mia. Poche ore dopo, un ragazzo di 17 anni, confessa l’omicidio. Oltre alla giovanissima età dell’assassino, impressiona l’efferatezza del gesto e la mancanza di un apparente movente. Sembra che i due siano stati, se non amici, almeno conoscenti. Ancora stupidi ragazzini con le pistole, ancora morti ammazzati e abbandonati, ancora famiglie gettate nel più atroce dei dolori. Ancora noi, qua, a chiederci che cosa stia accadendo nel mondo giovanile. Rimbocchiamoci le maniche, armiamoci di pazienza e tentiamo di capire. Troppo alto è il prezzo pagato dalle vittime, dai loro genitori, dalle loro famiglie, dalla società, per poterci permettere il lusso di scoraggiarci e passare oltre. Troppa la violenza tra i giovani, sembra quasi che siano incapaci di discutere serenamente di un qualsiasi problema, magari anche di alzare la voce e incavolarsi. Si ricorre alle armi con una facilità che impaurisce, sia per motivi, diciamo, sentimentali – vedi gli ultimi orribili femminicidi – sia per questioni di interessi economici, malavita, se non addirittura di viabilità o condominio. Fatto sta che prima che l’altro se ne accorga già partono i colpi di pistola o i fendenti di una lama. La minore età dell’assassino di Cesa, poi, riporta sul tappeto la vecchia questione se sia giusto punirlo aspramente o non piuttosto provvedere a farlo rinsavire con metodi più dolci. A mio avviso, le cose dovrebbero procedere insieme. Non un aut aut, ma sempre un et et.

Il castigo dato al reo non deve essere percepito come una passeggiata in campagna, ma deve essere serio e severo, fermo restando l’impegno dello Stato per riportarlo, nel tempo, sui giusti binari. Noto, però, a riguardo, una sorta di trappola nella quale finiscono per cadere anche persone preparate e di buona volontà. A riguardo, i rimedi che vengono proposti sono quasi sempre la scuola, lo studio, lo sport. Tutte cose buone e giuste. Magari fossero accessibili a tutti i ragazzi una buona scuola insieme a una palestra e una piscina a portata di mano e di portafoglio. Non sempre accade, ed un male. Gli adulti formatori, vuoi per imbarazzo verso le famiglie – e sono sempre di più – problematiche, vuoi per una sorta di frainteso laicismo, dimenticano che “formare” vuol dire indicare ai minori una sana e retta vita e metterli in guardia dalle trappole. Mi faccio capire: invidia e gelosia – per esempio - sono due mostriciattoli che dopo aver avvelenato chi li porta in cuore vanno a colpire l’avversario. Gli anni di scuola, i libri letti, il diploma o la laurea, certamente incidono nella crescita della persona umana, ma da soli non bastano. Il dottor Caio può ammalarsi di invidia come e forse più del barbone che dorme sotto i ponti, anche se, sarà portato ad avere reazioni meno eclatanti. L’odio, l’indifferenza, la diffidenza non scompaiono con il gonfiarsi delle masse muscolari. L’avarizia – verso la quale il Vangelo ha parole durissime – non si trasforma in generosità con l’aumentare del conto in banca.

Educare alla vita buona, quindi, vuol dire sapersi calare nel cuore umano – a cominciare dal proprio – e, senza paura, esaminarlo, indagarlo, rivoltarlo come un calzino, individuare le caverne dove vanno a nascondersi questi autentici nemici dei giovani. Scovarli, come fa il contadino con i parassiti che gli guastano la vigna. E da loro difendersi. Come? Innanzitutto, non negandone l’esistenza. Continuare a dire che da sola la scuola e lo sport basteranno a sanare il cuore dell’uomo che è qualcosa di elastico: si allarga, si restringe, si deprime, si entusiasma, prova pietà, rancore. Capisco perfettamente i problemi – se non i drammi – di tante famiglie, sono persone da comprendere, aiutare, supportare, amare. Mentre ci facciamo accanto alle famiglie ferite, rimaste indietro, dobbiamo anche dire a coloro che ancora non hanno formato una famiglia, che convivere è difficile, e che solo un grande amore può giustificare la rinuncia alla nostra beata solitudine. Convivere con la persona amata e con i figli che da questo amore sono nati è una grazia incommensurabile. Ma come tutte le cose preziose e belle, la convivenza – leggi famiglia – va desiderata, tutelata, difesa, costruita, alimentata, voluta. La scuola e la chiesa hanno un ruolo fondamentale nell’educazione dei bambini, e possono arrivare a ottenere ottimi successi a patto che, prima e meglio di loro, coloro ai quali quei bambini sono stati donati – da Dio o da caso, in questo momento, è la stessa cosa – non abbiano ad abdicare alla loro stupenda e faticosa missione.

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