In Campania la bellezza si paga a caro prezzo. Non è merce rara, tutt’altro, ma è merce fragile, passata per troppe mani che non hanno avuto cura della natura, hanno disprezzato e manomesso l’ambiente, usato pochi riguardi per un patrimonio d’arte e di storia ridotto spesso a un dépliant di stampo turistico. Il terremoto, s’è visto anche nell’affronto al Centro-Italia, non si ferma davanti ai paesaggi incantati, eppure morti e macerie, sullo sfondo di mari e scogli e di visioni che richiamano spensieratezza e vacanze, in uno dei luoghi-simboli più rinomati al mondo, hanno qualcosa di innaturale.
Morte e macerie sono dappertutto nel posto sbagliato, ma l’illusione di poterle fronteggiare, o almeno tenerle lontane, ha fatto spesso leva proprio sulla dovizia di risorse fornite dalla natura al proprio territorio, e ostentate come un segno di distinzione. La bellezza quasi come una barriera naturale a difesa. Ma anche l’immagine, come le pietre di questa terra, produce poi crepe. La più evidente smentisce l’invulnerabilità di questi luoghi, la cui convivenza con i terremoti è segnata da una lunga serie di tragedie. Casamicciola, la zona dell’epicentro, nel ricordo del sisma dell’Ottocento, è diventata addirittura aggettivo nella lingua corrente del napoletano: «succede casamicciola» è una frase per indicare qualcosa di devastante e rovinoso. L’altra riguarda la bellezza. Da sola può anche essere, o diventare, un lungo abbaglio che sfuma, isterilisce e rende fragile ciò che circonda e trova intorno. È stata ancora più evidente in questa tragedia la componente, immancabile, dell’abusivismo, del saccheggio del territorio e quindi di una prevenzione alla quale vengono a mancare finanche i presupposti.
Gli interventi in questo campo non saranno mai troppi, e sarà sempre tardi quando si passerà concretamente all’azione. A Ischia come altrove. Ma ciò che l’isola, amata da poeti e scrittori, aggiunge di suo è che questa bellezza fragile, accanto alle opere strutturali, ha bisogno di sostegni di altro tipo, per non essere intaccata oltre le pietre. Il terremoto, accanto alle opere di soccorso ordinarie, svolte dalle forze dell’ordine e dai volontari, si è trovato contro la barriera di una comunità forte e risoluta. La catena della solidarietà non ha avuto nodi da sciogliere e si è stretta subito intorno a una popolazione impaurita e smarrita.
Di tutta la terra campana, sull’onda dei primi soccorsi, Ischia non è apparsa per niente un’isola. Ma proprio allargando il campo alla regione, e passando in rassegna, a uno a uno, i ripetuti allarmi sugli scempi e le devastazioni ambientali degli ultimi tempi – in primo luogo gli incendi, ma senza dimenticare gli abusivismi diffusi e la "Terra dei fuochi" – ci si rende conto che la voce più chiara e più alta è stata quella della Chiesa, con i suoi vescovi e i suoi sacerdoti in prima fila.
L’immediato impegno sul campo del pastore ischitano, Pietro Lagnese e dei parroci dell’isola, ha dato il senso di una piena sintonia e, anzi, di una svolta, sottolineata non solo nel messaggio, ma nella tempestiva azione di coordinamento avviata dall’arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe, come presidente dei vescovi della regione. In Campania la Chiesa non ha semplicemente ritrovato la via di un impegno diretto, a fianco della sua gente, assillata da molti problemi e sempre più spesso alle prese con i drammi e le tragedie dell’ambiente; è essa stessa a guidarne i passi, a indicare con responsabilità e progetti concreti come non rendere di vetro e non lasciare nelle mani di speculatori la bellezza di un territorio falcidiato da sopraffazione e violenza, ma indebolito anche dalle troppe bandiere bianche dell’indifferenza e del disimpegno. È tanto evidente questo "nuovo corso" della Chiesa che potrebbe essere scambiato per una sorta di protagonismo. Non lo è, dal momento che parlano i fatti. Ma neppure è una buona notizia la tiepidezza o addirittura la latitanza di istituzioni ed organismi ai quali solo le emergenze, spesso sotto forma di drammi, riescono a dare ossigeno.