Il Giubileo "segnatempo" dei cambiamenti
sabato 21 dicembre 2024

La notte della vigilia del Natale 1999, quando sulla scena del mondo si affaccia un nuovo millennio: “Aperite mihi portas iustitiae…”. Poi le mani appoggiate come una carezza sulla formella di bronzo. Dopo una leggera spinta, i sampietrini aprono interamente dall’interno la Porta Santa. La Basilica, tenuta al buio, s’inonda all’improvviso di luci. Giovanni Paolo II inginocchiato sulla soglia rimane per alcuni momenti in silenzio. È un Papa segnato già a fondo dalla sofferenza. I movimenti sono lenti e pesanti, il volto quasi immobile, lo sguardo tenero che esce da occhi velati di emozione e di pietà. Si stempera e quasi scompare, di fronte a quell’umanissima visione, anche il luccicante groviglio di colori dei paramenti cuciti apposta con il tessuto della solennità.

A quella Porta il Papa arriva da un lungo cammino. Il Giubileo dell’Anno duemila, il passaggio da un millennio all’altro, è stato il grande orizzonte del suo pontficato, il primo dopo secoli di un Papa non italiano. Già alla Messa d’intronizzazione, il primate della chiesa polacca, Stefan Wyszynski, aveva scandito la sua profezia: «Tu farai entrare la Chiesa nel Terzo Millennio». E la prima enciclica del pontificato, la Redemptor hominis, s’apriva nel segno del Giubileo prossimo venturo: «Questo tempo nel quale Dio, per un suo arcano disegno, dopo il prediletto predecessore Giovanni Paolo I, mi ha affidato il servizio universale collegato con la cattedra di Pietro, è già molto vicino all’anno 2000. È difficile dire in questo momento che cosa quell’anno segnerà sul quadrante della storia umana e come esso sarà per i singoli popoli, nazioni, paesi e continenti benché sin d’ora si tenti di prevedere alcuni eventi».

Seppur molto vicino, quel tempo verso l’Anno Santo del Duemila ha tenuto aperto come non mai i cantieri della storia e della Chiesa. E nessuno come papa Wojtyla ha messo mano, all’uno e all’altra, con tanta padronanza e passione. È anche per questo che davanti a quella Porta il Pontefice, quella notte, bussava per conto della Chiesa ma anche di un’umanità, che dalle sue mani, si vedeva restituire, proprio alla fine del millennio, speranze che sembravano perdute. Non era bastato poggiare solo le mani, ma poi anche il Muro di Berlino, liberato dalle macerie, diventò un varco aperto. E la fine della “Guerra fredda” e quindi della cortina di ferro, segnarono i passi avanti sulla via della costruzione di un’Europa certo ben diversa da quella sprofondata nel baratro. In quella lunga vigilia, tre anni di intensa preparazione, tutta la Chiesa sentiva il respiro di una “nuova primavera” del Concilio.

Per tutto il corso dell’Anno Santo, il mondo non fu attraversato da grandi tensioni. Anche lo svolgimento delle singole Giornate, circa una sessantina, fu caratterizzato dal senso di una festosa serenità. E alcuni momenti restarono memorabili, per temi oltre che per luoghi, come il pellegrinaggio del Papa in Terra Santa, la celebrazione dei Nuovi Martiri al Colosseo e la “Giornata della Gioventù” nell’enorme spianata di Tor Vergata.

Un anno di quiete, non solo delle armi. Proprio un anno giubilare, come se il mondo fosse stato spinto al rispetto delle tregue che ogni Anno Santo porta con sé, in ordine ai rapporti e alle relazioni che gli interessi e gli egoismi possono guastare. Ma era intorno alla pace che si giocava la partita più grande. E anche su questo versante quell’Anno santo fu nel segno della riconciliazione.

In quel clima s’era fatta strada quasi la speranza di un “mondo nuovo”. Alla chiusura della Porta Santa a San Pietro, nel giorno dell’Epifania, la firma, per la prima volta sul sagrato, davanti ai fedeli, della Lettera Apostolica “Novo Millennio Ineunte”, segnò uno dei momenti più solenni del pontificato. “Duc in altum”, il nuovo slancio per spingere al largo la “barca di Pietro” fu la consegna che il Giubileo affidava alla Chiesa del nuovo millennio.

Neppure venticinque anni dopo, ripercorrendo ciò che in questo tempo è avvenuto, è possibile tracciare un bilancio. Non si può fare il consuntivo di un evento di fede. Ma è certo che già ai primi passi il nuovo millennio ha tragicamente cambiato rotta. Il feroce attentato alle Torri Gemelli ha dato il via, l’11/9, nel primo anno del Duemila, a un’ondata di violenze che, senza abbandonare il terrorismo, ha invaso anche il terreno della guerra aperta. L’assedio dell’Ucraina e il conflitto arabo-israeliano sono fronti tuttora aperti. E nella memoria di questo tempo così cupo e drammatico non è certo svanito il tormento di una rovinosa pandemia. Ciò che resta ancora più impressa è la radicalità dei cambiamenti. Tra l’uno e l’altro Giubileo c’è il quarto di secolo di un altro mondo, passato dagli albori di Internet ai fasti dell’algoritmo e dell’Intelligenza artificiale. L’Anno santo come segnatempo dei cambiamenti non può che rafforzare il senso di un Giubileo che papa Francesco ha intitolato alla speranza.

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