Verrebbe da scherzarci su: ma che male vi faranno mai i cattolici in politica? Fuori dalle battute: le reazioni di Giorgia Meloni ed Elly Schlein, agli antipodi nei modi ma convergenti nel significato, esprimono bene il nervosismo che attanaglia i riferimenti pro-tempore del bipolarismo all’italiana ogni volta che si inizia a parlare di una “casa” per i cristiani impegnati, di un eventuale “centro” o comunque di un maggiore protagonismo dei laici credenti.
Il nervosismo, la premier, l’ha espresso in quella inattesa invettiva dal palco di Atreju contro Romano Prodi, suo predecessore per due volte a Palazzo Chigi. La segretaria dem, invece, il suo stato d’animo l’ha affidato ad un ostentato silenzio su uno dei temi caldi degli ultimi giorni, l’eventuale – ma sinora smentita – discesa in campo di Ernesto Maria Raffini, direttore uscente dell’Agenzia delle entrate.
Meloni, consapevole della presa del centrodestra su un elettorato cattolico più legato ai valori antropologici, e cosciente dei disagi dei moderati rispetto alle tendenze programmatiche del Pd e della sinistra, è sembrata voler cerchiare il campo, difendere il fortino, stroncare sul nascere ogni ipotesi di elaborazione politico-culturale di centro in grado di condizionare e arricchire l’altro polo. D’altra parte lei non fa mai mistero di aver imparato la lezione di Berlusconi, e dunque nessuno le deve spiegare che solo il mite Prodi – con l’apporto decisivo del mondo che rappresentava – è riuscito a sconfiggere per due volte il fondatore di Forza Italia. Insomma, dal suo punto di vista il quadro è perfetto così: i credenti che si sentono rappresentati a destra hanno già un salotto confortevole da cui godersi lo spettacolo, ben venga che gli altri siano dispersi tra astensionismo, dubbi, voto col telecomando, voto progressista o liberale col mal di pancia e sirene populiste.
Le motivazioni dell’ostentato silenzio di Elly Schlein sull’affaire-Ruffini, ma più in generale sulla richiesta di “spazi” che i cattolico-democratici avanzano dentro e fuori il partito, hanno anch’esse a che fare con l’atavico nodo delle leadership nel centrosinistra. Che ha vinto con Prodi, appunto. E ha perso con leader ex Ds. E non è solo un dato del passato. Anche la storia recente dice che Regioni e Comuni sono più contendibili se il “volto” (maschile o femminile) ha quel sapore rassicurante per il centro moderato dell’elettorato. Insomma, la leader dem ha una strategia per arrivare a Palazzo Chigi che è agli antipodi rispetto a quella che le propongono, nel suo stesso partito, quei dirigenti che spingono per la nascita di un soggetto al centro ben piantato (anche) nel cattolicesimo democratico e sociale.
Ancora una volta, insomma, Meloni e Schlein, da fronti opposti, convergono sulle medesime priorità. Che si tratti di stoppare chi chiede terzi mandati nei territori, di dare un governo all’Europa, di assicurare stabilità alla politica estera, la leader di FdI e la segretaria del Pd sembrano condividere l’assetto di fondo dell’attuale bipolarismo, da rendere via via più simile a un bipartitismo imperfetto. E se è questa la visione condivisa, è ben comprensibile che accenni di “centro” risultino disturbanti.
Allo stesso tempo, però, va registrato che il quadro politico e istituzionale nazionale, benché ampiamente polarizzato, risulti ancora molto sensibile, e reattivo, quando si innesta un dibattito su una possibile presenza di ispirazione cristiana, benché non confessionale. E questo dato, questo elemento di interesse, curiosità e persino preoccupazione non dovrebbe essere trascurato.