Il presepe vivente del Corvetto: dove la speranza s'accende
giovedì 19 dicembre 2024

Milano, quartiere Corvetto. Luogo che nell’immaginario collettivo – anche per responsabilità di certi media – viene a torto omologato nella categoria “banlieue - periferia degradata”, un cliché che va stretto a chi conosce quella realtà, e soprattutto a chi ci vive. La tragica morte di Ramy Elgami, il giovane egiziano che al Corvetto viveva, morto dopo un inseguimento da parte dei carabinieri, ha portato indicibile dolore, rabbia cupa e pronta a esplodere, paura, disillusione, sconcerto.

Ma proprio in quel quartiere è possibile incontrare luoghi dove la speranza si accende e si comunica, punti vivi e generatori di bene, opere e persone che si prendono cura dell’umano. Questa sera le strade del quartiere saranno attraversate da un presepe vivente proposto, insieme all’associazione L’Immagine, dalla suore di Carità dell’Assunzione (per tutti “le suorine”), una presenza tanto silenziosa quanto preziosa al servizio della gente: cura dei malati, sostegno alle famiglie entrando nelle loro case, accoglienza di bambini e ragazzi, tra cui tanti stranieri. Il volto di Gesù che si rende presente a chi ogni giorno fa i conti con la fatica del vivere. Il presepe vivente è una tradizione nata quarant’anni fa, ma stavolta assume un valore ancora più pregnante, per testimoniare che il male non è l’ultima parola sull’esistenza e che anche quando tutto intorno si fa buio c’è una luce a cui guardare.

Duecentocinquanta figuranti delle diverse etnie che abitano il quartiere, una stella montata sul tetto di un’auto che precede il corteo, canti, preghiere, sei scene che raccontano alla luce dei testi evangelici l’avvenimento di un Dio che si fa compagno dell’uomo, di ogni uomo. Più che una rievocazione storica, più che una sacra rappresentazione: l’invito a immergersi nel mistero dell’incarnazione, portando le ferite personali e quelle del mondo, offrendo la propria fragilità e invocando il dono della pace, così necessaria in questo tempo e che appare così lontana dagli umani tentativi di realizzarla. Di questi sentimenti si fa eco una lettera aperta rivolta agli abitanti dalle parrocchie e da alcune realtà educative e sociali presenti nel quartiere: «Come scrive Italo Calvino, in un situazione nella quale sembra prevalere il male, occorre “cercare e riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio”. Le nostre realtà e molte altre mirano ad essere esempi di questa dinamica generativa. Desideriamo ogni giorno accogliere e costruire relazioni vere, dove ciascuno può sentirsi chiamato a scoprire il significato profondo della propria vita. Noi desideriamo ardentemente dare spazio al bene e alla vita. Crediamo che educare, accompagnare e costruire relazioni siano il modo per generare qualcosa di nuovo e duraturo anche nelle situazioni più difficili. E’ un compito possibile quando si condivide un desiderio comune».

Educare, accompagnare, costruire relazioni: sta nella declinazione di questi verbi la strada da percorrere, piuttosto che nel fomentare odio e ribellione o nell’illudersi che sia sufficiente moltiplicare il numero dei poliziotti per governare la convivenza. È una strada piena di curve e di salite, ma è la sola che può davvero lasciare il segno nel tessuto sociale del Corvetto come di altri quartieri di Milano e di tante città d’Italia in cui si sperimenta un disagio che – alla radice – fa i conti con lo smarrimento del significato dell’esistenza, una malattia che si è silenziosamente incistita nella società e sempre più frequentemente esplode in maniera incontenibile, fino a penetrare dentro le nostre case e a invadere i rapporti e i nostri stessi cuori.

A questo smarrimento viene incontro l’iniziativa di Dio che si fa compagno di cammino nel Natale: un presepe vivente lo testimonia nella semplicità di un gesto che ci ricorda il nostro comune destino di persone amate.

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