La guerra in Ucraina sta sconvolgendo, tra l’altro, le politiche energetiche. Già l’impennata del prezzo del gas aveva mandato un segnale d’allarme. Ora il conflitto sta impattando sui mercati energetici e fa temere inflazione e recessione assieme, come cinquant’anni fa e forse peggio. Le ragioni economiche per far cessare questa follia convergono con quelle umanitarie. Ripercorriamo questa sequenza. La transizione ecologica adesso può essere a rischio. L’intera strategia della transizione ecologica europea comprende il ricorso al gas, combustibile più flessibile nell’uso e con minore intensità carbonica degli altri fossili, come principale risorsa di accompagnamento alla crescita graduale delle energie rinnovabili per ridurre le emissioni fino ad azzerarle al 2050 (calcolate al netto di quella CO2 che riusciremo ad assorbire dall’atmosfera). Un ricorso ordinato al gas è compatibile con un tendenziale aumento del suo costo, che anzi incentiva la transizione verso le rinnovabili. Ma i mercati energetici, già prima della guerra in Ucraina, sono andati oltre questo sentiero graduale, con un’impennata straordinaria dei prezzi. Il gas all’ingresso in Italia è arrivato nel gennaio 2022 a costare cinque volte il prezzo di un anno prima.
Questo sconvolgente fenomeno è un effetto di strozzature nell’offerta in varie parti del mondo dovute a conflitti (Libia) e arresti della fornitura di attrezzature nel 2020, anno del Covid. Non c’è stato gas sufficiente per la ripresa delle economie nel 2021, più veloce del previsto, specialmente in Cina e dintorni. Hanno aggravato la scarsità di energia anche fattori meteorologici come l’annata poco ventosa nel Mare del Nord, dove è concentrato l’eolico. Per ridurre l’impatto sulle famiglie e sulle imprese sono state adottate varie misure. Alcune mirate, come l’aumento del bonus per i clienti in condizioni di disagio economico. Altre coerenti con i cambiamenti strutturali programmati, come la riduzione di quegli “oneri di sistema” che finanziano non solo il servizio ma anche operazioni d’interesse generale come gli incentivi alle rinnovabili: è preferibile toglierli dalle bollette e metterli a carico del sistema fiscale. Altre semplicemente temporanee.
L’impennata dei prezzi era solo in parte transitoria e ha evidenziato quanto sia improbabile che una transizione così radicale e veloce possa essere attuata senza scosse e incidenti di percorso. Le politiche del clima richiedono l’abbandono del carbone, e dove questo avviene (in Germania e Polonia, in India e Cina) cresce la domanda di gas. Con un prezzo mondiale del gas destinato a restare alto, la transizione si presenta più costosa del previsto. Non s’impone una revisione radicale, solo una pianificazione più accurata e flessibile, con un arsenale di strumenti pronti per adattarla alle mutevoli circostanze. La guerra ha cambiato tutto. Quando la correzione dei prezzi al ribasso faceva pensare che il peggio fosse passato, l’aggressione russa all’Ucraina iniziata il 24 febbraio ha reso la situazione di colpo drammatica.
I prezzi sono balzati nuovamente in alto. Le previsioni di guerra prolungata, o anche solo di grave crisi mondiale, alimentano aspettative più che preoccupanti. L’Europa non ha offerto solo aiuti umanitari ma anche sostegno alla resi- stenza ucraina, perché la brutale aggressione non abbia successo pieno e si possa giungere a un negoziato vero. Lo fa ponendo attenzione a non alimentare quel crescendo di rilanci che porta a un conflitto globale. Per non varcare quella soglia sta usando due strumenti: un cauto sostegno militare difensivo all’aggredito e sanzioni economiche all’aggressore, di un’intensità senza precedenti. La più dura tra le sanzioni adottate è l’esclusione della Russia dal sistema mondiale dei pagamenti e quindi di fatto il suo isolamento economico.
Ma questa esclusione appare però incompleta: al momento essa esclude quei canali che servono al pagamento delle forniture energetiche. La ragione è che la Russia è il nostro più importante fornitore di gas, e del gas abbiamo bisogno. Questa eccezione introdu- ce un’incoerenza nella condotta europea: sostenere la resistenza dell’aggredito e al tempo stesso fornire all’aggressore un flusso di pagamenti dell’ordine di 2 miliardi di euro al mese. Il nodo che oggi impedisce l’adozione di sanzioni più complete, più efficaci nell’effetto economico diretto, e anche nella coerenza e forza del nostro messaggio al mondo, è la nostra dipendenza da queste forniture.
Possiamo fare a meno del gas russo? La domanda riguarda l’Unione Europea e solo a quel livello può trovare risposta positiva. Ma guardiamo ai numeri dell’Italia. Nel 2019, ultimo anno “normale”, abbiamo importato 71 miliardi di metri cubi (Mmc), di cui 33,4 (quasi metà) dalla Russia. L’ipotesi di farne a meno appare irrealistica, ma dobbiamo verificare quanto la dipendenza sia riducibile e in quale arco di tempo. Possiamo aumentare le altre fonti. L’estrazione interna, oggi ridotta a 3,5 Mmc, potrebbe raddoppiare. Potrebbe crescere l’importazione attraverso i gasdotti che collegano l’Italia con Algeria, Libia, Grecia e quindi Turchia e Azerbaigian, così come quella che passa dai 3 terminali di rigassificazione (vicini a Ravenna, a La Spezia e a Livorno) dove arrivano le navi con il gas liquefatto (GNL) da qualsiasi parte del mondo, e quella che potrebbe venire dal grande mercato europeo (con cui siamo connessi attraverso l’arco alpino) che at- tinge, oltre che dalla Russia, dai giacimenti nel mare del Nord e da rigassificatori più numerosi e capaci dei nostri.
Si stanno battendo queste piste: quanta parte della fornitura russa potrebbero compensare? Un terzo? Possiamo ridurre i consumi, tenendo conto delle azioni già in essere come la crescita delle rinnovabili e il miglioramento della tenuta termica degli edifici. Nel 2019 nelle case, per cucina e riscaldamento/climatizzazione, abbiamo consumato oltre 30 Mmc. Possiamo usare la persuasione e ragionevoli obblighi controllati: quanto potremmo compensare? Un altro terzo? Possiamo sostituire parte del gas che usiamo per produrre elettricità riattivando temporaneamente le centrali a carbone: quanto? Per fare di più occorre tempo, sia per la crescita delle rinnovabili, sia per un’eventuale costruzione di nuove vie d’importazione del gas. Obiezione: investire oggi in energie fossili contrasta con la grande transizione ecologica. Occorre verificare se l’utilizzazione sarà abbastanza lunga da giustificare e ammortizzare gli investimenti. L’eliminazione totale del gas fossile è prevista in Europa attorno al 2050.
In conclusione, un’interruzione breve delle forniture russe è certamente sopportabile, grazie alla stagione più clemente e alle scorte. All’altro estremo, non c’è motivo per una cessazione totale e definitiva di un rapporto commerciale che è utilissimo, forse vitale, per la Russia stessa. Il caso difficile è quello di un’interruzione di durata intermedia e incerta, connessa con il braccio di ferro in corso. Per prendere una decisione è necessaria una valutazione comparativa dei rischi, economici e po-litici, connessi con le diverse opzioni. Una soluzione senza rischi, in questo come in altri casi, non esiste. Stiamo attraversando il valico tra un mondo in cui i conflitti si risolvono con la forza bruta e un mondo in cui l’uso della lotta economica fornisca il tempo e le pressioni per imporre una composizione negoziale, ovviamente al costo di sacrifici che possono essere grandi e ricadere su molti, ma che per quanto drammatici non sono comparabili ai massacri della guerra.
Già presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas e professore di Politica economica all’Università Cattolica