mercoledì 14 agosto 2024
La regione ha il più alto rapporto di emissioni di CO2 per abitante: il 75% dell’energia è prodotto oggi da fonti fossili, tra cui due centrali a carbone. Cosa sta succedendo
Una manifestazione di un ambientalista per l'energia rinnovabile

Una manifestazione di un ambientalista per l'energia rinnovabile - Ansa

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La bellezza del paesaggio e la sostenibilità ambientale sono due valori spesso messi in contrapposizione quando si parla di fonti rinnovabili. Un luogo dove lo scontro sta arrivando ai massimi livelli è la Sardegna, una delle regioni più amate dagli italiani e non solo per la bellezza di paesaggio e territorio.

Le vicende sono note. La preoccupazione dei sardi per gli effetti delle rinnovabili sul paesaggio è molto forte e la neoeletta presidente della regione, Alessandra Todde, decide con una moratoria di 18 mesi di prendere un momento di pausa per ridefinire le regole del gioco. Nel frattempo il governo nazionale stabilisce con il decreto aree idonee le regole (piuttosto restrittive per i nuovi impianti di produzione di energia) valide per tutto il Paese da cui le Regioni dovranno partire. L’8 agosto Elettricità Futura, l’associazione delle imprese delle rinnovabili, presenta una denuncia alla Commissione Europea contro la moratoria che impedisce di attuare le direttive europee (Red II e Red III) in materia di neutralità climatica. La Sardegna nel frattempo resta la regione con il più alto rapporto di emissioni di CO2 per abitante dove il 75% dell’energia è prodotto oggi da fonti fossili, tra cui due centrali a carbone ancora funzionanti.

Quello in corso è, a nostro avviso, uno scontro del tutto inutile (in parte alimentato da paure diffuse da notizie non vere) perché fondato sul principio infondato che in Sardegna non sia possibile conciliare l’interesse del paesaggio e delle prospettive economiche dei vari settori con quello della transizione ecologica.

È falso ad esempio che la crescita delle rinnovabili avverrebbe a scapito di agricoltura e pastorizia e attraverso il rischio di espropri dei terreni. I progetti fotovoltaici ed agrivoltaici possono essere presentati in autorizzazione solo dietro un titolo di proprietà. In tutti i casi i proprietari dei terreni sardi sono ben contenti di poter ospitare dei progetti di questo genere sulle loro terre visto che, se si tratta di terreni produttivi, la normativa parla chiaro: essi devono continuare a produrre prodotti agricoli, pena decadimento dei titoli autorizzativi per gli impianti energetici. Peraltro, sono molti i pastori che ad oggi in Sardegna stanno abbandonando i loro terreni sia a causa della crisi climatica che della difficoltà di reperire manodopera specializzata per portare avanti l’azienda. Gli impianti fotovoltaici possono in questo contesto rappresentare un’integrazione di reddito fondamentale per la sopravvivenza delle aziende.

Si stima inoltre che basterebbero 8.000/10.000 Ha per arrivare agli obiettivi di 6.2 GW previsti per l’Isola nel piano di transizione con soli impianti fotovoltaici: parliamo dello 0,05% della superficie agricola utile della Sardegna. Le servitù militari nell’Isola, per avere un’idea, ad oggi sono di 35.000 Ha (solo quelle di terra) e nessuno si è mai strappato i capelli per i danni che caserme e impianti militari avrebbero arrecato al paesaggio. In nessun modo gli impianti di produzione di energia verrebbero inoltre realizzati in aree di pregio e di notevole interesse naturalistico e paesaggistico per la popolazione. Già in passato e ancor di più oggi, la normativa in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, dell’ambiente e – nel caso specifico - di realizzazione di impianti di produzione di energia rinnovabile definisce specifici criteri e vincoli per il corretto inserimento di tali impianti nel paesaggio anche mediante la definizione di fasce di rispetto dei beni tutelati per legge.

Intanto 87 comuni sardi hanno chiesto il 9 agosto l’intervento dell’esercito contro la siccità perché 132 milioni di metri cubi d’acqua sono usciti ed evaporati dagli invasi. Il contributo della Regione contro il riscaldamento globale che rende e renderà il problema sempre più grave sarebbe opportuno. Anche tenendo conto che l’agrivoltaico ha caratteristiche che consentono di attenuare gli effetti stessi della siccità su fabbisogno e disponibilità di acqua (ombreggiatura, diminuzione dell’evapotraspirazione e possibilità di realizzazione di piccoli bacini di raccolta).

Esistono dunque tutte le condizioni per trovare un risultato mutualmente vantaggioso che consenta di realizzare gli obiettivi della transizione, quelli della tutela del paesaggio aggiungendo ad essi alcuni elementi di vantaggio per la popolazione locale. Un modello da seguire da questo punto di vista potrebbe essere quello del governo scozzese che ha ricevuto dalle imprese che hanno costruito e resi operativi gli impianti eolici offshore a largo della costa 13 milioni di sterline nel biennio 2022-2023. Il governo locale mette inoltre a disposizione fondi agevolati per consentire a gruppi della comunità locale di diventare azionisti dei progetti realizzati e dunque destinatari di una parte dei dividenti da essi ricavati. La Regione Sardegna potrebbe lavorare utilmente per costruire nel caso dei grandi impianti schemi di questo tipo facendo salvo il principio dell’invisibilità degli impianti dai luoghi di maggior pregio paesaggistico.

La storia del nostro Paese è piena di tempo perso in conflitti ideologici inutili e dannosi e non vorremmo che in questo caso si ripetesse. Se il rapporto tra transizione ecologica e paesaggio sarà ben gestito (e siamo confidenti che alla fine lo sarà), la crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili, lungi dall’essere una prospettiva che mette in conflitto i diversi obiettivi, potrà diventare una nuova occasione di sviluppo sostenibile dell’Isola. Che continuerà per altro ad essere una meta dell’anima di tutti noi per via delle sue straordinarie bellezze naturalistiche.


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