Come nella vita personale, esistono tratti della vita collettiva nei quali proviamo tutte insieme speranze e delusioni, gioie e amarezze, con un ritmo che impedisce di filtrarle, comprendere fino in fondo il loro significato, avvertire ciò che annunciano e proiettano nel futuro. I mesi che hanno diviso il Natale dalla Pasqua hanno prodotto più storia che tanti anni.
Delusioni e amarezze hanno investito la vita quotidiana, e la dimensione politica, la crisi economica continua ad attanagliarci, ci lascia dentro paura, scoramento, sfiducia nell’opera dell’uomo. Ciò che è avvenuto nelle ultime settimane rischia di farci sentire figli di una Europa matrigna, che realizza un braccio di ferro con un piccolo lembo di terra e la sua popolazione cipriota, finendo con umiliare ogni protagonista. C’erano mille ragioni perché i conti dell’isola fossero messi a posto, ma quel diktat imperioso (contro Cipro, poi modificato nelle sue assurdità) ha prodotto astio verso la Ue, ha fatto scendere in piazza povera gente che temeva per sé e la propria famiglia, ha protestato contro egoismi invisibili di Stati ben individuabili, ci ha fatto del male. Un po’ perché temiamo ci possa capitare la stessa cosa, un po’ perché sentiamo crescere un sentimento di estraneità che è certamente sbagliato, ma ci cova dentro, e può fare altro male. Ci confessiamo spesso una verità amara: vogliamo essere tutti europei, lo siamo per storia, sentimenti, radici cristiane, ma a volte è difficile esserlo, subiamo scelte tecniche che non si ispirano a saggezza e umanità, necessarie anche nell’economia e nella finanza.
Abbiamo vissuto un’aspra contesa elettorale in casa nostra, con forti conflitti e con tante speranze. Queste sono diminuite perché il risultato non ci ha dato ciò di cui avevamo bisogno: un governo solido che affronti i problemi economici, ridia moralità alla politica, realizzi le riforme indispensabili. Però è nata subito un’altra speranza, quando il presidente Napolitano ha detto e ripetuto: lasciate perdere gli interessi di parte, accordatevi per il tempo necessario, date risposte urgenti ai troppi disoccupati, ai giovani che rischiano di non credere più in se stessi, alle famiglie che vogliono andare avanti, ma non ce la fanno. Anche questa speranza, espressa con passione da chi rappresenta la Repubblica così bene da anni, può svanire. Veti contro veti, lunghe attese senza che si intraveda una soluzione saggia. Anche questo fa male. Dobbiamo riconoscerlo con semplicità. La speranza più autentica ci è venuta dalla Chiesa, da questa nostra Chiesa alla quale (l’abbiamo visto in questo periodo difficile) si avvicinano sempre più persone che non praticano, si dichiarano non credenti, ma guardano a Pietro come a un’ancora, con una fiducia antica, sempre nuova. La successione dei Papi, con la rinuncia di Benedetto XVI e l’elezione di Francesco, poteva provocare smarrimento, delusione, certamente ha scosso la coscienza in ognuno di noi; invece, ci ha mostrato una realtà che giorno dopo giorno ci ha rasserenato, rincuorato, ci assicura che abbiamo la forza per risolvere i nostri problemi. La grandezza, e l’umiltà, di Benedetto XVI che ha chiesto a Dio prima che agli uomini di dare una nuova guida alla Chiesa, ci ha fatto capire nell’intimo che si possono compiere grandi scelte dettate dalla fede, per finalità più alte, quelle di esistere e agire per gli altri. Poi l’elezione di Papa Francesco, in pochi giorni, ha conquistato il cuore della Chiesa, di tutto il mondo, parlando un linguaggio che conosciamo benissimo perché lo portiamo dentro di noi, ma che è diventato magistero del Papa. Un magistero diretto, semplice e fatto di cose grandi, che risponde alle ansie e alle angosce della fase storica che stiamo vivendo. Ogni sua parola abbatte remore e spinge a fare un passo in avanti. Avere speranza proprio quando siamo in maggiore difficoltà, nutrire fiducia quando siamo più sconfortati, pregare nei momenti di aridità, attingere dal Vangelo gioia e forza nei giorni della debolezza, abbracciare e pregare con uomini di tutte le fedi, come ha fatto il Papa, in un mondo ancora diviso e lacerato. Non si può dire che una parola del Papa prevalga sulle altre. Però quell’invito alla gioia, perché il cristiano non può essere triste, le riassume tutte.
Forse è questo il significato della Pasqua per cristiani e no: ridare gioia e speranza a chi nutre dei dubbi per comprendere il senso profondo della vita.