I due modelli sono giovani, alti e biondi. Nulla di strano, essendo lituani. Fanno pubblicità all’azienda di abbigliamento Sekmadienis Ltd. Lei interpreta Maria, lui Gesù. I claim recitano: «Gesù, che pantaloni«; «Cara Maria, che vestito»; «Gesù e Maria, che cosa indossate». E tu, Sekmadienis, che cosa ci combini…
È il 2012. Gruppi di cittadini si rivolgono a un’associazione di consumatori, questa passa la palla all’Agenzia di concessione della pubblicità, un’authority governativa, che rileva «violazioni ai limiti di decenza», blocca la campagna e infligge all’azienda la 'mostruosa' multa di 580 euro... La Sekmadienis perde tutti i ricorsi in patria e così si rivolge alla Corte europea dei diritti dell’uomo che, nei giorni scorsi, condanna la Lituania a risarcire l’azienda: «Non si può limitare la libertà d’espressione».
Agli italiani, vaccinati da un celebre e remoto «Chi mi ama mi segua», utilizzato per spacciare jeans, verrà forse da sorridere. Un sorriso amarissimo, ma con un fondo dolce: se per vendere un prodotto il mercato sente il bisogno di ricorrere a simboli religiosi, significa che quei simboli sono ancora ben vivi. E perfino il governo lituano, che non ha lo Stato della Città del Vaticano nel suo territorio, sente il bisogno di tutelarlo. Ma non è questo il problema.
Lo scontro è sul confine. La Lituania afferma: è stato oltrepassato il limite ma la Corte di Strasburgo replica: quel limite non esiste. Il problema è doppio. Strasburgo ha detto una sciocchezza. La libertà di espressione è limitata eccome, altrimenti dei pazzoidi potrebbero elogiare impunemente la Shoah e le curve degli stadi insultare i calciatori neri nelle forme più creative e sanguinose senza subire conseguenze: la libertà d’espressione non si può limitare... Ma c’è l’altra faccia della medaglia. È ovvio che un limite ci debba essere. Ma qual è? Può essere stabilito una volta per sempre per chiunque? Si può misurare o pesare? Spesso accade che la sensibilità di una parte ragguardevole della società venga presa a sberle e lei non ci stia e reagisca, civilmente. Così è accaduto in Lituania. Ma Strasburgo ha detto ai lituani che la loro sensibilità comune nulla conta.
Di questa vicenda, non la prima né l’ultima del genere, tanti penseranno: è una questione di buon senso. Appunto. Nemmeno il buon senso si può misurare né pesare, difatti siamo circondati, avvolti e travolti da pensieri e azioni del tutto privi di buon senso, che appesantiscono la nostra anima e infastidiscono la nostra esistenza. La soluzione dunque non c’è? No, c’è eccome, ma è racchiusa in una parola tanto urgente quanto ignorata: educazione. Al buon senso e al rispetto ci si educa. Allora il limite risalta evidente. Anche per questo Strasburgo, stavolta, si è dimostrata maleducata.