Per ogni nostro anziano ci sia la via della tenerezza
domenica 2 agosto 2020

L'invito di papa Francesco e le lezioni di questo tempo amaro. Il Papa che, lui per primo, dalla finestra dell’ultimo Angelus domenicale di luglio in Piazza San Pietro, rivolge un applauso agli anziani va certo ad arricchire la casistica dei gesti che, nella grammatica di Francesco, sono i "punti esclamativi" capaci di dar forza al discorso, sottolinearlo, renderlo vivo e pronto per un’immersione totale nella realtà di tutti i giorni. Prendere la vita dai due estremi, l’età dei nipoti e quella dei nonni, continua a essere il modo migliore per proporla e valorizzarla tutta intera.

È come dare il segnale che, proprio ai due capi, il filo che l’attraversa dev’essere più forte e robusto. L’invito rivolto ai giovani a considerare "ogni anziano un nonno", nella freschezza di uno slogan – lanciato con l’hashtag #sendyourhug dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita – parla a fondo di un pontificato che, non perdendo mai di vista l’uomo, si prende cura di ogni tratto del suo cammino, ne segue gli sviluppi, ne misura, in sostanza, il passo.

Ha finito di essere lesto, come un tempo, quello di chi è avanti negli anni, ma non è solo questo il motivo che, spesso, porta a frenare di brusco di fronte alla vita. In questo senso la pandemia ha segnato non solo una svolta, ma, per la violenza con la quale ha colpito, addirittura un cambio di condizione nella vita degli anziani. Il burrone aperto dalla "cultura dello scarto" – evocata e avversata senza soste da Francesco – poteva sembrare una metafora azzardata per rappresentare una fragilità data per scontata.

Il coronavirus non si è fatto scrupolo di portare alle estreme conseguenze la terribile discriminazione che, come una spada di Damocle, pende da tempo sulla testa dei più indifesi. Canne al vento di una tempesta a dismisura totale delle loro forze, gli anziani, messi da parte come improduttivi, isolati come malati, non potevano che essere l’avamposto della tragedia, le prime linee mandate allo sbaraglio. Una disfatta annunciata, e ancora più amara se si tiene conto che proprio l’atto di denuncia della "cultura dello scarto" più che un implacabile appello si è rivelato la lucida profezia di un pontificato che, attraverso gli occhi della Misericordia, non ha dato tregua ai fallimenti della giustizia.

È proprio da questo lato che l’appello per gli anziani va ripreso e tenuto in conto non come una bonaria esortazione, bensì come un radicale cambio di passo. Nella sua impietosa falcidie, il coronavirus ha delineato con chiarezza i termini di una questione che continua a destare allarme anche con la fase dell’emergenza più acuta alle spalle. Si tocca con mano, e a cuore affranto, come la "cultura dello scarto" – gli anziani messi da parte, sradicati dalle case, allontanati dagli affetti e assistiti secondo reddito nelle strutture sanitarie – sia stata responsabile di un’autentica ecatombe negli Stati Uniti e in Svezia, due avamposti del mondo produttivo occidentale, dove l’ottanta per cento dei decessi si sono verificati nella popolazione con più di 65 anni. (Nel Paese scandinavo il 90 per cento dei decessi aveva più di 70 anni).

Né possono consolare i dati europei dove, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, più della metà dei morti per Covid-19 – e in Italia e Spagna con percentuali intorno al 60 per cento – si sono avuti tra i ricoverati in case di riposo o istituti per anziani. "Nella solitudine il virus uccide di più". Non è, a sua volta, solo una frase ad effetto, ma una drammatica verità che, se da un lato pone di fronte ai devastanti effetti di un abbandono assistenziale e terapeutico che viene da lontano, dall’altro rende indispensabile un ripensamento sulla scelta – finora per la verità obbligata – dell’assistenza in istituti e case di cura.

Affermare che il posto degli anziani è a casa è un modo, indiretto, ma efficace, per difendere la famiglia nel suo insieme, e porla al centro della vecchiaia anche come fenomeno di massa nuovo, frutto del considerevole allungamento della vita media. Un cambiamento, ha affermato più volte papa Francesco, che ha colto di sorpresa anche la Chiesa, che tuttavia, ha rilanciato tempestivamente la questione di come aiutare a vivere questa straordinaria stagione della vita.

Il paradosso è quello di aver conquistato più anni, ma di non essere messi nelle condizioni di poterli vivere con interesse e dignità. Anche qui le cifre parlano chiaro: già nei prossimi tre decenni – secondo il rapporto del World population ageing – il numero globale delle persone anziane dovrebbe più che raddoppiare, raggiungendo oltre 1,5 miliardi di persone nel 2050. "Ogni anziano è tuo nonno" è allora anche il modo per preparare un cambio di passo – se non una vera e propria rivoluzione – a partire dalla tenerezza, mettendo in campo gli strumenti propri della "fantasia dell’amore" che neppure il virus riesce a spegnere: conoscere innanzitutto gli anziani della propria parrocchia e del proprio quartiere; e far sentire loro la vicinanza affettiva, secondo il "catalogo" indicato da papa Francesco: "Fate telefonate, videochiamate, inviate messaggi, ascoltateli e, dove possibile, andate anche a trovarli. Inviate loro un abbraccio". È la "via della tenerezza" che aiuta a stare alla larga dai vicoli ciechi. E non solo. Per gli anziani è la via che porta lontano.

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