C’è qualcosa che accomuna Mikhail Gorbaciov e Vladimir Putin? Sembra assurdo ma una cosa c’è: il legame profondo e viscerale con l’Unione Sovietica. Non facciamoci ingannare dalle nostre proiezioni. Gorbaciov amava l’Urss e voleva riformarla, renderla migliore, più moderna e democratica. Tutto voleva, insomma, tranne che abbatterla, e infatti il 17 marzo del 1991 convocò un referendum per chiedere ai concittadini se considerassero «necessario preservare l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche», ottenendo un prevedibile ma inutile – visti gli eventi successivi – 77,85% di sì. Anche Putin ama l’Urss e non lo nasconde. Anzi: sono diventate famose le sue frasi in proposito. La prima: «La dissoluzione dell’Urss è stata la più grande catastrofe geopolitica del Ventesimo secolo»; e anche «Chi non rimpiange la disgregazione dell’Urss non ha cuore, chi vuole ricrearla così com’era non ha cervello».
Il problema è che si tratta di amori solo in apparenza simili, e infatti hanno portato a conclusioni opposte.
Tentiamo un breve confronto, a partire dalle due parole d’ordine della stagione gorbacioviana. Glasnost’, ovvero la trasparenza dei processi decisionali.
Gorbaciov, nel 1990, fu eletto Presidente dell’Urss da un Parlamento che per la prima volta era stato formato in modo democratico e rappresentava una pluralità di partiti, come in Russia non succedeva dalla quarta Duma del 1912.
Putin ha fatto approvare per referendum (76,92% di sì, come si vede c’è un referendum per tutto e per tutti) una serie di modifiche alla Costituzione che di fatto gli consentono di rimanere al potere a vita. L’altra parola d’ordine era perestroika, la riforma dei meccanismi di produzione e distribuzione del reddito. Già nel 1988 Gorbaciov varò la cosiddetta Legge sulle Cooperative che apriva la porta al ritorno della proprietà privata e dell’economia di mercato in Russia. Negli ultimi anni, invece, la Russia di Putin ha vissuto una progressiva ristatalizzazione dell’economia: si calcola che oggi, tra impieghi pubblici, sovvenzioni, bonus e rivoli privilegiati della spesa pubblica, il benessere del 40% delle famiglie dipenda appunto dallo Stato.
E via via così. Il rapporto con il passato sovietico? Facendo della vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale il mito fondante del nuovo Stato russo e del suo orgoglio, il Cremlino ha inevitabilmente favorito una sotterranea ripresa del mito di Stalin, che di quella vittoria comunque fu il condottiero. Gorbaciov, diventato segretario del Pcus nel 1985, nel 1986 già riabilitava Andrey Sacharov e lo liberava dall’esilio nella città chiusa di Gorky, avviando tra l’altro un processo di recupero e riabilitazione della memoria di migliaia e migliaia di vittime delle purghe staliniane. La libertà d’opinione? Fu una delle bandiere del gorbaciovismo e favorì la nascita di una stampa pugnace e combattiva. Oggi in Russia si rischiano anni di galera solo a parlare male della spedizione in Ucraina.
E sulla scena internazionale? Oltre che per convinzione personale, Gorbaciov capiva che la condizione necessaria per far ripartire l’Urss, e farne il Paese efficiente e dinamico che sognava, era porre fine alla Guerra Fredda (che scaricava negli arsenali un’enorme quantità di risorse) e trovare un’intesa con l’Occidente. Ritirò le truppe dall’Afghanistan e dall’Europa dell’Est, permise il crollo del Muro di Berlino. Il ragionamento di Putin è opposto: perché la Russia possa crescere e prosperare è necessario battersi con l’Occidente, ingaggiare un braccio di ferro politico, economico, persino militare.Come tutti sanno, Gorbaciov riuscì solo in parte nei suoi intenti. Molti russi lo hanno insultato per anni, accusandolo di aver 'ucciso' l’Urss, anche se lui non fece altro che prendere atto di una crisi di sistema evidenziata già da uno dei suoi predecessori, Jurij Andropov. Noi europei e gli americani oggi rimpiangiamo di non averlo aiutato abbastanza e di esserci accontentati del collasso del vecchio avversario sovietico. Erano gli anni in cui ci raccontavamo che la Storia era finita e che il nostro sistema aveva vinto. Invece non era finito nulla, e il 'nemico' bussa di nuovo alla porta. Mikhail Sergeevic Gorbaciov, il provinciale di Stavropol’ arrivato giovanissimo (54 anni) al Cremlino, di quella Storia ha scritto sei anni irripetibili. Quelli in cui, tra errori e illusioni, la nostra generazione ha comunque potuto credere in un mondo migliore e più pacifico. Di quanti altri possiamo dire altrettanto?