Nelle chiese della “martoriata Ucraina”, come non si stanca di ripetere papa Francesco invocando una pace giusta, ciascuno sentirà particolarmente vicine le parole profetiche di Zaccaria, padre di Giovanni il Precursore: «Benedetto il Signore, Dio d’Israele, che ha visitato e redento il suo popolo». La notte di Natale è speciale perché è la notte in cui, nell’oscurità di una guerra crudele che viviamo da oltre mille giorni, viene la luce di Dio. Il Verbo si fa carne e i cuori stanchi trovano consolazione e sostegno: perché Dio è sempre vicino a chi soffre. Noi, fedeli dell’esarcato greco-cattolico di Donetsk, ci sentiamo come quei pastori che, mentre «di notte facevano la guardia ai loro greggi», ricevono le parole di un angelo che grida: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore». Il nostro cuore comprende che non siamo soli, che il Signore è con noi ovunque e in ogni circostanza. Lui sente il freddo come quello che percepiamo nelle nostre case senza luce e gas o nelle trincee; affronta le sofferenze accanto a noi mentre siamo nei rifugi sotto i missili o i colpi di cannone; collabora con noi nell’aiutare chi ha bisogno in mezzo a una catena di solidarietà che è l’emblema della forza d’animo del nostro popolo; è compagno nell’abbracciare chi è pieno di paura; sta di fianco al tavolo operatorio dei feriti e sostiene i soccorritori; aspetta silenzioso la liberazione.
L’esarcato di Donetsk, di cui sono pastore titolare da poche settimane, sa che cosa è una terra ferita dal sangue e dalla violenza, dove la guerra va avanti da oltre dieci anni. Oggi metà della diocesi ci è stata strappata. Nessuno può pregare nella nostra Cattedrale a Donetsk, dove sogno un giorno di poter entrare. Siamo l’angolo dell’Ucraina orientale tagliato dalla linea del fronte, dai campi di battaglia, da città e villaggi distrutti dalla follia della guerra. Siamo la terra considerata perduta, ma che perduta non è: perché abitata da gente tenace, capace di non mettere in pausa la vita nonostante la ferocia e l’orrore.
Oggi, in un momento in cui la guerra e la sofferenza sono parte della nostra esistenza, siamo sempre più convinti che l’Emmanuele ci dà una forza invisibile: non solo per resistere, ma anche per conservare la fiducia nella giustizia e nella pace. Benedetto XVI scriveva nel libro “Introduzione al cristianesimo”: «La nascita del Salvatore, e quindi la sua vita, morte e risurrezione, è il compimento dell’opera di salvezza dell’umanità, cioè di ciascuno di noi. Non siamo indifferenti a Dio. E questa non indifferenza ha un nome semplice: Amore. In mezzo al buio della guerra ci rendiamo conto che la vera paura dell’uomo è superata non dalla ragione, ma dalla presenza di una Persona che ama». Dio entra nella storia viva dell’umanità, di tutta l’umanità, nel suo momento più drammatico, proprio quando tutto sembra perduto. Le preghiere dei giusti, degli oppressi, dei malati, dei poveri toccano il cuore di Dio. Cristo nasce nella povertà per condividere con noi l’ingiustizia della vita: un’ingiustizia che qui in Ucraina avvertiamo forte. Gesù deve anche lasciare la sua terra natale ed essere “sfollato”: uno sfollato come tanta nostra gente che è stata costretta a fuggire.
Come vescovo, mentre ci apprestiamo a celebrare il mistero dell’Incarnazione, penso alle famiglie che restano e a quelle che sono evacuate; a coloro che si trovano nell’Ucraina libera e a coloro che sono sotto occupazione; ai medici che salvano le nostre vite precarie e agli operatori delle infrastrutture critiche che ci riaccendono le case dopo i raid missilistici alle reti elettriche; alle vedove e agli orfani; a tutti i prigionieri di guerra; a coloro che attendono notizie sui dispersi; a quanti sperimentano un dolore indicibile. La speranza rinasce. E anche in Ucraina vogliamo essere “pellegrini di speranza”, come ci chiede l’Anno Santo alle porte.
Esarca di Donetsk