C’è un numero che molte famiglie conoscono bene, quando presentano le dichiarazioni Isee per chiedere sconti sulle tariffe della mensa scolastica dei figli, agevolazioni per l’università o il nuovo assegno unico: è il «valore dell’immobile ai fini Imu».
Si tratta del valore catastale della casa in cui abita la famiglia o delle altre possedute. Come tutti sanno, se quel valore è alto, allora anche l’Isee, come le tasse, risulterà più alto, e dunque si potrebbero perdere dei benefici; se invece il valore è basso, ovviamente si possono avere vantaggi, non solo fiscali: tanto per fare un esempio un assegno-figli più alto oppure una retta per la mensa più bassa.
Qual è il problema? Non è difficile da spiegare: le rendite catastali non corrispondono ai valori di mercato degli immobili. Questo perché, per semplificare, molte case popolari di un tempo sono diventate con gli anni residenze di pregio nei centri storici delle città, mentre le moderne abitazioni degli anni Settanta oggi possono essere immobili di scarso valore ai margini delle metropoli. Niente di male, è il mercato.
D’altro canto quante sono le case di campagna che, ristrutturate, hanno acquisito piscine e non solo, e sono diventate residenze prestigiose, ma continuano a risultare luoghi di lavoro o abitazioni modeste? Il punto, come si intuisce, è che se le rendite catastali non vengono aggiornate, ci si può trovare ad avere famiglie che beneficiano di vantaggi non coerenti con il loro livello di benessere, e altre che invece non ottengono i benefici cui avrebbero diritto.
Questo che abbiamo descritto è solo uno degli aspetti critici legati all’inadeguatezza dei valori catastali, ma è un nodo che va preso in esame. Il grosso del dibattito sulla possibile riforma del catasto – che il governo vorrebbe avviare, anche perché è uno degli interventi che l’Europa ha vincolato ai fondi del Pnrr – finora ha messo in luce soprattutto il rischio che la pressione fiscale possa salire in particolare per i possessori di seconde case, terze o successive. La questione, ovviamente non può essere trascurata. Perché a prescindere da come quegli immobili sono stati acquisiti – se cioè frutto di eredità, di investimenti con mezzi propri dichiarati oppure no – tutti concordano sul fatto che non è questo il momento di aumentare le tasse sul ceto medio.
Ora, detto che accostare il concetto di ceto medio con quello di rendita è esercizio non privo di una certa originalità, la questione dell’opportunità di una manovra fiscale in questo momento non può occultare l’obiettivo della giustizia fiscale. I modi per evitare una manovra impopolare e mantenere il gettito complessivo invariato ci sono. Il presidente del Consiglio Mario Draghi, in questo senso, ha fornito tutte le rassicurazioni. Nessuno vuole più tasse e nessuno ha voglia di chiedere un inasprimento del prelievo, dato che rischierebbe di gravare anche su chi le tasse già le paga. Sarebbe tuttavia un tradimento del principio di giustizia, non solo fiscale, se chi possiede immobili dal valore di mercato elevato continuasse a godere di vantaggi rispetto a chi abita o possiede case di minor valore. Non è un discorso di cifre assolute, ma relative. La riforma del catasto, per procedere, richiederà un clima di concordia e di pace sociale, ma è necessaria, perlomeno se si è dell’idea che chi è un po’ più ricco è giusto che paghi un po’ di più e chi è più povero un po’ di meno, evitando che accada il contrario. Non è il caso di alimentare lotte di classe, ma nemmeno ci si dovrebbe battere per conservare un sistema che ogni evidenza indica essere ingiusto e iniquo.