Yanis Varoufakis prima di diventare ministro dell’economia nell’attuale governo greco, era ben noto alla comunità degli economisti per i suoi lavori in “Teoria dei giochi”. Varoufakis è uno studioso di scelte razionali in situazioni nelle quali sono coinvolti due o più agenti e ciascuno agisce obbedendo a una logica strategica, anticipando cioè le mosse e contromosse reciproche. Il ministro greco conosce quindi molto bene il cosiddetto “gioco del pollo” (o del coniglio), che descrive una situazione molto simile a una famosa scena del film
Gioventù bruciata. Jim (James Dean) sfida Buzz in una gara folle: entrambi spingono le loro auto a tutta velocità verso un precipizio, vincerà colui che si getterà dalla propria auto in corsa per ultimo, appena prima che precipiti nel burrone. L’esito peggiore del “gioco del pollo” è che entrambi i piloti precipitino nel precipizio, se per voler vincere la gara aspettano troppo prima di saltare fuori dall’auto.Immaginare oggi che il governo greco e le sue controparti stiano giocando a un gioco simile a quello del “pollo”, è una lettura che può far sperare che i giochi non siano ancora chiusi e che i giocatori siano ancora in corsa – augurandoci che l’esito sia quello dettato dalla razionalità e non dalle emozioni e dalle passioni.L’uscita della Grecia dall’euro non
conviene a nessuno, in tutte le possibili declinazioni della parola
convenienza. Staremmo solo tutti peggio e nessuno starebbe meglio. «Siamo tra l’incudine e il martello», mi ha appena scritto un collega economista dell’università di Atene. E starebbero molto peggio i poveri, i giovani, i bambini greci, che non hanno mai firmato alcun contratto e magari non hanno mai avuto alcun beneficio dai soldi sperperati in passato dai loro governanti.È uno scenario fosco e tremendamente confuso, da cui dovrebbe derivare una raccomandazione generale di metodo a chi in questi giorni parla e scrive: non immaginare soluzioni semplici a una situazione estremamente complessa, dividendo la scena in buoni e cattivi, pro o contro la Grecia.Un primo elemento di complessità ce lo offrono i dati storici. L’economia greca è stata tra quelle più colpite dalla crisi finanziaria del 2007. Fino a quella data la Grecia cresceva, e aveva attratto molti investitori internazionali. Il suo debito pubblico è raddoppiato tra il 2007 e il 2012. Il suo rapporto debito/Pil nel 2007 era “solo” del 95,59%, ma è diventato del 130.2% nel 2010 e quindi del 143.5% nel 2012. Il suo debito verso Ue e Fmi è nato tra il 2010 e il 2012, frutto di una situazione economico-finanziaria del Paese resa insostenibile dalla crisi. Le onde anomale dello tsunami finanziario partito dagli Usa sono arrivate sulle coste greche e hanno provocato danni molto ingenti. Senza la crisi del 2007 oggi avremmo uno scenario completamente diverso.I dati, tutti i numeri, non aiutano a trovare soluzioni se non vengono letti e interpretati dentro un contesto relazionale idoneo – sono innumerevoli i conflitti generati e alimentati da letture opposte degli stessi dati. L’ambiente umano dentro il quale si stanno svolgendo da anni le trattative sul caso greco è molto negativo, per non dire pessimo. Le crisi – ogni crisi – è uno “stress test” della qualità delle relazioni tra persone e istituzioni. Ci sarebbe bisogno, ad esempio, di una radicale purificazione del linguaggio usato a tutti i livelli. È urgente che Ue, Fmi e anche Governo greco smettano di colpevolizzare la controparte. Soprattutto è fondamentale cambiare linguaggio sulle “colpe” dei greci. Lo sappiamo e lo abbiamo visto molte volte lungo la storia: la prima soluzione facile a problemi complessi è stata creare qualche teoria che dimostri che l’altro merita la sventura che vive,
perché è colpevole. Nella Bibbia, ad esempio, il Libro di Giobbe “combatte” soprattutto contro questa ideologia. Sono troppi e molto pericolosi i ragionamenti che si odono e leggono sulle colpe dei greci. “Si meritano la loro sventura, perché hanno avuto governi corrotti, e perché anche i cittadini sono pigri, assistiti, grandi evasori fiscali”.Commenti e discorsi ideologici che sono gravi sia quando provengono da Paesi, come l’Italia, che su questi temi non può dare lezioni morali a nessuno, sia quando arrivano da giornalisti o politici tedeschi e francesi, perché dimenticano grandi e gravi lezioni della storia e perché eclissano le altre ragioni della crisi, ragioni che pesano, anche quantitativamente, molto di più di quelle di solito elencate. Attribuire le cause dei problemi da risolvere al “carattere” nazionale o alla “mentalità” dei popoli, non fa altro che allontanare le soluzioni, perché “caratteri” e “mentalità” sono variabili sulle quali chi oggi deve decidere non ha nessun controllo. Ma per chi vuole ridurre il costo etico di scelte difficili, evocare colpe, carattere e mentalità è sempre utile, e ogni tanto funziona.Debito e colpa, in alcune lingue, hanno la stessa radice. Una volta per debiti si diventava schiavi, e non di rado si veniva condannati a morte. Generazioni intere hanno donato vita e sangue perché la democrazia mettesse la parola fine alla schiavitù per debiti, affermando che nessun debito, per quanto grande, deve ridurre anche una sola persona in schiavitù. Figuriamoci un popolo intero. Un vero e responsabile piano di rilancio della Grecia deve, allora, svilupparsi in un arco di tempo quinquennale o decennale, durante il quale sospendere il rimborso dei debiti esteri, e lavorare tutti e a tutti i livelli per creare gli investimenti e le condizioni perché i debiti degli Stati non diventino una via post-moderna a nuove forme di schiavitù dei popoli – anche la
Laudato si’ ce lo chiede. La soluzione deve arrivare, e scongiurare che questa “gara” abbia lo stesso epilogo di
Gioventù bruciata.Un’ultima annotazione: sono tante le prospettive possibili per giudicare la moralità e la giustizia di una scelta tragica. Una delle migliori è guardare ai suoi costi e benefici dalla prospettiva dei bambini. È un esercizio che aiuta sempre, e a volte può essere decisivo.