mercoledì 2 aprile 2025
I dati Istat 2024 non sembrano lasciare speranze: nascite al ribasso e contrazione del tasso di fecondità, segnano due nuovi record. Ma il presidente nazionale del Forum offre argomenti per reagire
Denatalità, resistiamo al fatalismo. Con le famiglie si può

Agenzia Romano Siciliani

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Il quadro delineato dall’Istat nel rapporto “Indicatori demografici Anno 2024” non lascia spazio a interpretazioni ottimistiche. Il calo delle nascite del 2,6% e un tasso di fecondità ai minimi storici (1,18 figli per donna) certificano una crisi demografica che compromette la sostenibilità del nostro sistema sociale ed economico. Il saldo naturale negativo di -281mila unità conferma che l’Italia sta sprofondando in una spirale che mina il futuro del Paese.

Non siamo semplicemente di fronte a un fenomeno passeggero ma a una tendenza strutturale che richiede un cambio di passo immediato e radicale. Il tema non riguarda solo la diminuzione della natalità ma anche la fecondità. Il problema non è solo determinato da variabili di ordine numerico – ovvero la riduzione delle coorti di coppie in età fertile – ma anche culturale e strutturale: sempre più giovani non riescono ad avere figli, sia per ragioni economiche e lavorative sia per un cambiamento nei modelli di vita. A questi si aggiungono quelli che decidono espressamente di ritardare i progetti generativi, trovandosi poi con una fertilità che cala al crescere dell’età, oppure scelgono esplicitamente di non diventare genitori. Questo dato rappresenta una sfida epocale che non può essere affrontata con misure parziali o di breve periodo.

L’anno della famiglia sembra sempre essere il prossimo in agende ormai attanagliate dal susseguirsi di crisi mondiali che oggi ci portano anche a parlare di guerra o di dazi come una possibilità di scenario ordinario. Nel frattempo, le coppie con figli rappresentano meno del 30%, mentre aumentano le famiglie monogenitoriali (10,8%) e quelle senza figli (20,2%). Stiamo consumando il futuro in un’epoca che si fa vanto di cercare sempre la sostenibilità. Stiamo coltivando schiere di solitudini che si complessificano al crescere dell’età.

A rendere il quadro ancora più preoccupante è la fuga dei giovani all’estero: 156mila italiani hanno lasciato il Paese nel 2024, con un incremento del 36,5% rispetto all’anno precedente. Il Mezzogiorno è particolarmente colpito da questa emorragia, perdendo 52mila residenti a favore del Nord, che ne guadagna 47mila. Il Sud Italia si sta progressivamente svuotando, lasciando dietro di sé territori sempre più fragili dal punto di vista economico e sociale ma anche depauperati di quella millenaria interazione uomo-natura che ha reso la nostra penisola un luogo straordinario.

Di fronte a questi dati, la risposta della politica e della società non può essere il fatalismo o la gestione passiva a una transizione demografica irreversibile. Non possiamo rassegnarci a un futuro in cui il Paese si affidi esclusivamente all’uso crescente di intelligenza artificiale e automazione, all’innalzamento continuo dell’età pensionabile o a flussi migratori non governati in modo strutturale e dignitoso. Non è possibile tamponare un’emergenza senza affrontarne le cause profonde e senza adottare strategie adeguate. Ciò che serve è una vera assunzione di responsabilità epocale, riconoscendo questa sfida come urgente e necessaria, promuovendo alleanze transpartitiche con tutte le migliori forze del Paese. È l’ultimo tempo nel quale poter mettere in campo una rivoluzione, un vero cambio di paradigma.

È essenziale rompere la cornice del “si è sempre fatto così” e della difesa rigida dei diritti acquisiti, ripensando la distribuzione delle risorse per dare priorità alle nuove generazioni: i veri “soggetti fragili” di questa epoca per motivi di rappresentanza (sono pochi e votano poco), economia (sono i più poveri), resilienza (vivono fragilità crescenti). Servono investimenti concreti per garantire ai giovani un accesso stabile e anticipato al mondo del lavoro, con remunerazioni adeguate e politiche abitative efficaci. È urgente creare strumenti reali di conciliazione tra vita familiare e lavoro in un tessuto costituito principalmente da microimprese, ma anche promuovere un nuovo storytelling sulla genitorialità e le relazioni stabili, che non siano percepite come un ostacolo ma come un valore da coltivare.

È tempo di considerare, con fatti concludenti, la famiglia non come un semplice aggregato sociale né, tantomeno, come il luogo della povertà economica ed educativa, ma come un soggetto attivo di benessere collettivo. Le politiche devono riconoscerne il ruolo strategico, dotandola di strumenti e risorse adeguati per poter generare sviluppo e sostenibilità per il Paese. Stiamo consumando la speranza delle giovani famiglie spingendole a guardare in basso invece che ad alzare con coraggio lo sguardo verso il futuro.

È inaccettabile che, a livello nazionale ed europeo, per la spesa militare vi sia ampia flessibilità di bilancio, mentre per la natalità e il sostegno alle famiglie si invochino sempre vincoli insuperabili. È qui che si gioca la vera partita del futuro. Se non si interviene subito l’Italia diventerà un Paese per soli anziani: ma non anziani inseriti in una rete solida di relazioni intergenerazionali, bensì soli, più poveri, con meno prospettive e senza il supporto di giovani capaci di dare continuità e sviluppo.

Il momento di agire è ora: servono coraggio, unità di intenti, programmazione lungimirante, che si facciano illuminare dalla speranza e dalla pervicacia. Il primo passo sta nel riconoscere la natalità come un investimento imprescindibile per il bene comune, supportando la famiglia come soggetto sociale che, se messo nelle condizioni, è capace di generare benessere per tutto il Paese.
*Presidente nazionale Forum delle Associazioni familiari

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