Con realismo e in linea con la lettera e lo spirito originario della legge 40 che regola la procreazione assistita, il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha stabilito che è giusto consentire a una donna di avviare una gravidanza con embrioni congelati, formati in precedenza con l’ex-marito, nonostante l’uomo quel figlio non lo voglia più, perché il loro matrimonio è finito e lui ha un’altra vita.
I giudici hanno riconosciuto che esiste un terzo soggetto oltre i due genitori, e cioè il concepito, nei confronti del quale va mostrata responsabilità da parte di chi ha deciso liberamente, appunto, di concepirlo, tanto da firmare un consenso informato per dichiarare la propria intenzione di averlo, quel figlio, e di prendersene cura.
In linea con la legge 40, che prevede che il consenso alla fecondazione assistita si possa sempre ritirare, ma fino al concepimento e non dopo, perché se la decisione di avere un figlio è libera e consapevole, da parte del padre e della madre, una volta che quel nuovo essere umano esiste non lo si può cancellare. E al padre, che nel tempo ha cambiato idea e invoca per questo la sua autodeterminazione, i giudici hanno risposto chiamando in causa la sua «autoresponsabilità»: adesso quel figlio c’è, a prescindere dal legame con la donna con cui una volta lo aveva voluto, e da quella concretissima esistenza non si può prescindere. Nella vita non ci sono tastiere col tasto "delete" da pigiare, e le nostre decisioni hanno conseguenze di cui è necessario essere consapevoli.
Il consenso informato nella legge 40 è pensato a tutela del figlio liberamente e consapevolmente voluto, e tale è restato nonostante alcune contraddizioni inserite nella norma da successive sentenze della Corte costituzionale, quando ha eliminato il divieto della fecondazione eterologa. La stessa Consulta d’altra parte ha «riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione», consentendone un «affievolimento ma solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale» che possono prevalere in alcune situazioni, precisando che «l’embrione, infatti, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certo riconducibile a mero materiale biologico» (sentenze n.151 del 2009 e n.229 del 2015).
E anche i criteri di accesso alla fecondazione assistita sono rispettati in questo caso, quando si prevede che siano un uomo e una donna maggiorenni, sposati o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi: la separazione di una coppia successivamente al concepimento non mette in discussione la precedente decisione di avere un figlio, che ovviamente resta per sempre figlio di quel padre e di quella madre, anche quando il legame fra i genitori non c’è più. La responsabilità resta alla coppia, anche dal punto di vista economico e patrimoniale, e sarebbe gravissimo se questa tutela dipendesse dalle modalità del concepimento, venendo a mancare in quello in vitro.
D’altra parte la situazione dei separati non ha niente a che fare con un presunto diritto dei singoli a diventare genitori: un diritto che non esiste per nessuno, da soli o in coppia, a meno di non riconoscere un dovere, per lo Stato, di procurare un figlio a chi ritiene di poterlo esigere. E neppure la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere autorizzerebbe un singolo padre a trasferire l’embrione nell’utero di una donna diversa dalla madre, qualora quest’ultima rifiutasse l’impianto. Il consenso al momento dell’accesso non prevede certo l’intervento successivo di un’altra donna diversa dalla madre per portare avanti la gravidanza: al contrario, lo ritiene un reato, perché si tratterebbe di maternità surrogata.
Una 'asimmetria' in favore della donna? No, un riconoscimento della differenza sessuale, almeno finché saranno le donne a portare avanti la gravidanza.
Tante poi sono le analogie con situazioni che conoscono bene i volontari dei Centri di aiuto alla Vita, quando incontrano donne che intendono portare avanti la gravidanza anche se il compagno non vorrebbe, e magari è sparito o le suggerisce di abortire.
Questa sentenza è un riconoscimento importante di quello che tanti finora hanno sostenuto, spesso inascoltati: la vita umana va tutelata, fin dal concepimento.