Agenzia Romano Siciliani
Il dibattito avviato da Luca Diotallevi sul cambiamento della cristianità e ripreso da Giuseppe Lorizio, sebbene intrigante e brillantemente condotto da entrambi gli autori, corre almeno un rischio: quello di rimanere incompleto nella sua impostazione, in quanto paga lo scotto di una limitazione intenzionalmente cercata dai due illustri studiosi, che rinunciano all’apporto della sociologia. Eppure, il primo è cattedratico della medesima disciplina ed il secondo da teologo si avvale spesso del contributo di altri saperi. Insomma, pare di intravedere in proposito una sorta di conventio ad excludendum difficilmente giustificabile. In primo luogo, perché vi è ormai tutta una letteratura consolidata sui rapporti fra teologia e sociologia che hanno in Franz-Xavier Kaufmann (scomparso all’inizio di quest’anno) il mentore principale, quale autore di un testo famoso, tradotto anche in Italia presso la Morcelliana sin dal 1974: Sociologia e teologia: rapporti e conflitti. In secondo luogo, perché la frequentazione reciproca fra le due discipline è ormai un fatto scontato, al punto da essere formalizzato nella pubblicazione di una rivista trimestrale prioritariamente dedicata alle interazioni fra approcci teologici e sociologici: Praktische Theologie. Zeitschrift für Praxis in Kirche, Gesellschaft und Kultur, attiva dal 1966.
Da noi, in Italia, la tradizione è piuttosto circoscritta, ma ha annoverato, nel tempo, una lunga schiera di sacerdoti o ex-sacerdoti che si sono mossi fra teologia e sociologia, sia pure con accentuazioni differenziate. Per di più, l’ambito delle scienze della religione collegate alla sociologia si è ormai esteso sino ad includere le discipline bibliche.
Andrebbero evitate alcune affermazioni, persino ripetute, che, pur di natura retorica, evidenziano comunque la non indispensabilità del contributo sociologico alla conoscenza dei fatti religiosi. In effetti, le indagini sul campo, quelle non rapsodiche, ma continuative, seriali, omogenee e comparabili fra loro in senso diacronico e diatopico, non ci dicono che stiamo assistendo alla fine del cristianesimo nel territorio italiano. Per quanto riguarda quello europeo ed internazionale, poi, c’è solo da ammettere che non esistono studi del tutto affidabili, sia per la diversità dei metodi e dei campionamenti, sia per l’assenza di pianificazioni investigative a lunga gittata temporale.
Che quello attuale sia poi un tempo cruciale per il futuro delle molteplici religiosità degli italiani (come di altri popoli) è una percezione legittimata anche dal senso comune, ma va rapportata ai trends reali in corso, che vedono certamente una maggiore propensione alla libertà di espressione e quindi di critica nei riguardi dell’istituzione cattolica che opera in Italia. Però, non ci si può basare, come più volte nel passato, sul solo dato della pratica religiosa, per concludere che la religiosità sta svanendo
In realtà, sono in atto ripensamenti, ricerche di senso e tentativi di comprensione, che non prescindono del tutto dalla questione religiosa e che dunque si presentano sotto la veste del dubbio, del possibile, del probabile, ovvero dell’indecisione, dell’instabilità e dell’incertezza. In questo senso vanno le risultanze dell’indagine di Franco Garelli con il suo Gente di poca fede. Il sentimento religioso nell’Italia incerta di Dio (il Mulino, 2020) o del sottoscritto con L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa in Italia (Angeli, 2020).
Forse l’elemento più appariscente e degno di attenzione è il tipo di considerazione manifestato dai nostri connazionali nei riguardi della Chiesa, che è vista come se fosse essa stessa la religione e non l’istituzione che la rappresenta, la sostiene e la diffonde. Si assiste ad una quasi completa trasposizione delle funzioni della religione a vantaggio della struttura religiosa di riferimento. Da ciò deriverebbe, altresì, una difficoltà di comprensione della realtà religiosa in quanto tale ed in termini stretti come fede.
Secondo questo tipo di interpretazione della fenomenologia religiosa prevalente nel nostro Paese, si può probabilmente concordare con la proposta di lettura interpretativa suggerita da Diotallevi quando parla di "riduzione del cristianesimo a solo-religione".
Fa bene perciò Diotallevi a ribadire che "il cattolicesimo non è solo religione, ma anche-religione". Si tratta, però, di intendersi a proposito di religione. In particolare, sul "cristianesimo come religione a bassa intensità", prospettato ancora da Diotallevi, c’è da chiedersi se sia possibile storicamente una comparazione con il pregresso e soprattutto con un periodo in cui l’intensità sarebbe stata alta. A parte il sotteso giudizio di valore riscontrabile in una tale classificazione, quasi da termometro misuratore dello stato di salute religiosa di una popolazione, la comune conoscenza storica e sociologica insieme di quanto registrato nei decenni precedenti in Italia non sarebbe in grado di riconoscere un’epoca di vigorosa dominanza di fedeli convinti al massimo e partecipanti a tutto spiano.
Quel che invece appare condivisibile è la presenza, sottolineata da Lorizio, di una quota significativa di "diversamente credenti.
Sembra difficile trovare in Italia luoghi di incontro e confronto fra teologia e sociologia, per non dire di altre scienze. Riviste, convegni, seminari ed anche webinar sono quasi solamente mono-disciplinari. Altrove, esistono invece associazioni che mettono insieme teologi e sociologi e psicologi e storici ed antropologi ed altri ancora.
In definitiva, vi è un grande bisogno di ricerca scientifica pluridisciplinare sulla fenomenologia religiosa, per cui necessita ampliare l’ambito della ricerca scientifica, senza soste e senza confini, proprio come nel caso dell’esperienza di fede, continuamente instabile fra certezza e dubbio.