Debito comune, cooperazione, realismo: anche l'Ue ha bisogno di un «Piano B»
sabato 15 marzo 2025

Con eventi in molte piazze italiane e con la manifestazione nazionale di oggi a Roma molti sindaci del nostro Paese, e in generale le forze politiche e i cittadini, vogliono sottolineare la voglia e il bisogno di più Europa in questi tempi così difficili sullo scenario internazionale. Ma di quale Europa parliamo? La discesa nel concreto di Von der Leyen con il piano da 800 miliardi di ReArm Europe ha frammentato le posizioni politiche dei nostri partiti in mille distinguo e differenze. Dal plauso di Calenda che vede questa come la prima mossa per una difesa e debito comune europei, al distinguo e alla proposta di astensione della Schlein che ammonisce come il riarmo nazionale non sia già difesa comune, all’opposizione di Conte che ha deciso di non partecipare alla manifestazione di oggi sull’Europa perché ne critica la svolta bellicista. Fino alle posizioni più sfumate della premier che non vuole l’uso di risorse delle politiche di coesione per gli armamenti e cerca di far dialogare Trump e l’Unione Europea, e ai distinguo della Lega che appare la più filotrumpiana e critica verso l’Unione.

L’Europa di cui abbiamo bisogno, e quella per cui vale la pena riempire le piazze, deve fondarsi su tre capisaldi. Primo, dobbiamo smetterla di piangerci addosso ed avere consapevolezza e orgoglio per la nostra differenza democratica e di valori di fronte ad autocrazie e demopopulismi, differenza che affonda le sue radici nel pensiero cristiano e laico di grandi padri fondatori come Adenauer, Schuman, De Gasperi, Spinelli. Quelle radici ricche di intelligenza relazionale hanno fatto nascere una Comunità (del carbone e dell’acciaio) e un’Unione (Europea) facendo capire a popoli che si erano combattuti in passato che la cooperazione crea plusvalore ed è molto meglio della contesa insensata e di quella logica del Risiko che sembra oggi portarci secoli indietro nella storia. La storia economica insegna che il possesso delle materie prime molto spesso più che arricchire è una maledizione e che è la capacità di cooperare ed innovare che crea valore aggiunto e sviluppo come nel caso di Italia e Corea del Sud, i due Paesi con maggior crescita nel secondo dopoguerra assolutamente poveri di materie prime.

Secondo, è arrivato il momento di fare un nuovo passo avanti verso il debito comune. La nostra storia ci dice che sono le emergenze a farci fare passi in avanti, ma a questo punto la svolta è che non possono essere solo queste (la pandemia, la minaccia russa) a produrre avanzamenti solo temporanei in tale direzione. Il debito comune deve diventare una caratteristica strutturale in tempi ordinari per valorizzare la massa critica ed economie di scala dell’Unione. Sarebbe da gretti farlo solo per finanziare l’acquisto di armi, sottraendo risorse a sanità e welfare e non anche proprio per finanziare queste poste fondamentali per la riduzione delle diseguaglianze e per la qualità della vita di tutti i cittadini europei. Come è stato più volte ricordato, nel 1790, Alexander Hamilton, ministro del Tesoro degli Stati Uniti, convinse i primi 13 Stati federati ad adottare un debito comune. È arrivato quel momento (necessario per il futuro dell’Europa) anche per noi?

Il terzo è che dobbiamo dare un’anima e un cuore a questa nuova Europa. Pensare di essere più sicuri perché abbiamo più armi convenzionali, senza investire in relazioni di cooperazione è un’illusione. Con «Piano B» abbiamo messo in evidenza che la carenza di fraternità e d’intelligenza relazionale è il male principale dei nostri tempi. La centralità della persona e delle relazioni attraverso fiducia, cooperazione, capitale sociale, civismo, cittadinanza attiva è la chiave per produrre in ogni campo (sanità, lavoro, transizione ecologica) le risposte di cui abbiamo bisogno. Così anche nel campo della pace e delle relazioni internazionali dove c’è bisogno di molto più realismo perché non possiamo sceglierci i nostri interlocutori (Usa, Russia, Cina) ma dobbiamo trarre il meglio dai rapporti con quelli che abbiamo.

Le vicende di questi mesi ci dicono che abbiamo sperato, sostenendo il popolo ucraino contro l’aggressione russa, in un crollo economico, politico o militare della Russia danzando sull’orlo del baratro di un conflitto nucleare. Non è andata così e il male minore oggi a disposizione è una nuova Yalta che cristallizzi lo stato di fatto, ponga i paletti per difendere la democrazia in tutti gli Stati membri della Nato e assicuri garanzie per l’indipendenza dell’Ucraina, piuttosto che continuare una guerra dei cent’anni che non fa passi avanti e ci mantiene in difficile equilibrio per evitare il precipizio. Il tema della pace tra Stati non è un tema solo per le diplomazie. In questi mesi difficili la società civile ha dato ennesima prova di vitalità con lo sviluppo dell’idea dei corpi civili di pace, come forza d’interposizione dal basso capace di ricreare legami tra i popoli di Paesi in guerra e strumento per il perseguimento e mantenimento della pace nei periodi post-conflitto. Deve essere un ingrediente fondamentale in futuro se vogliamo che la pace sia efficace.

La difesa comune europea (si battè per essa anche De Gasperi) e la deterrenza saranno importanti in questo nuovo quadro che si prefigura. All’interno di esso dobbiamo tornare a spenderci per la cooperazione multilaterale con tutti per rilanciare invece dei conflitti la pace, il commercio globale e l’impegno comune per affrontare problemi comuni come quello dell’emergenza climatica. In quest’epoca di stupida guerra dei dazi, sembra un’utopia la globalizzazione spesso criticata nella quale ogni Paese si specializza nel produrre ciò su cui ha un vantaggio comparato e i prodotti non hanno confini. Nelle relazioni internazionali dobbiamo tornare alla saggezza dei nostri padri che hanno saputo convivere con pazienza con l’“impero del male” sovietico e, attraverso passi successivi di disgelo, conseguire il più grande successo della caduta del muro in condizioni non belligeranti. L’Europa deve difendersi ma non è nata né ha l’indole per raggiungere attraverso la guerra i propri obiettivi, come saggiamente avevano capito i padri della nostra Costituzione che hanno stabilito attraverso l’articolo 11 il ripudio della guerra come metodo di soluzione delle controversie internazionali.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: