In questi ultimi giorni il Consiglio europeo ha approvato Rearm Europe, un piano straordinario per garantire il finanziamento della spesa militare nei prossimi anni. Una maggiore spesa militare dovrebbe garantire la nostra capacità di deterrenza nei confronti della Russia. In altre parole, l’equazione alla base del ragionamento sarebbe semplice: maggiori armi garantiranno una maggiore sicurezza poiché instaurerebbero un sistema di deterrenza efficace contro un eventuale attacco da parte della Russia. È lecito chiedersi se tale equazione sia effettivamente quella giusta. In realtà, la reale efficacia di un sistema di deterrenza non è – come erroneamente si pensa – meccanicamente identificabile nella dotazione di dispositivi d’arma. Invero, la capacità di un ordine fondato sulla deterrenza discende dalla sua credibilità. In questa prospettiva, è cruciale la credibilità che gli attori sono in grado di costruirsi nel rispondere a una minaccia. Le armi ne sono solo una componente e non quella rilevante. L’interrogativo quindi rimane. Riarmandosi l’Unione Europea acquisterà più credibilità nella sua capacità di fronteggiare la potenziale minaccia portata dal Cremlino? In realtà, la risposta a oggi sembrerebbe “no”, poiché il riarmo in corso sta replicando se non addirittura amplificando le criticità diffusamente conosciute in merito alla difesa in Europa, vale a dire la sua frammentazione su base nazionale. Essa oltre a rappresentare un evidente punto di debolezza si accompagna anche a una forma di disuguaglianza. I Paesi più grandi, più ricchi e produttori di armi, hanno maggiori dotazioni rispetto agli altri.
In parole più semplici, aumentare la spesa militare potrebbe non garantire una maggiore sicurezza in assenza di una maggiore unità e quindi di una credibile politica estera comune che possa fare affidamento su un’industria della difesa effettivamente integrata e cooperativa. Al tal fine, fin dagli anni della Commissione a guida Juncker sovente si menziona come cruciale l’organizzazione di un mercato unico della difesa e più recentemente di un meccanismo di acquisizioni comuni di armi. In realtà, la vera sfida dovrebbe essere quella di creare un’agenzia europea indipendente che si occupi di tutti gli aspetti di una difesa comune. Essa, quindi, non dovrebbe avere solo potere in merito all’organizzazione del mercato interno dei dispositivi d’arma, ma anche in merito alla loro produzione e al controllo delle esportazioni. È evidente, comunque, che laddove fosse istituita un’agenzia con questi poteri, essa sarebbe efficace solo se perfettamente autonoma. Questo sarebbe possibile solamente se la governance prescelta ne garantisse l’indipendenza assoluta dai governi in carica. Per fare una semplice analogia essa dovrebbe avere un grado di indipendenza comparabile a quello che ha la Banca centrale europea nella gestione dell’unione monetaria. In ultimo questa agenzia dovrebbe avere il potere di monitorare i flussi intra-europei in modo da garantire che strumenti di difesa siano nelle dotazioni anche dei Paesi più piccoli e non produttori dell’UE, ma anche le licenze alle esportazioni e financo negoziare i trattati internazionali in merito al controllo degli armamenti per tutti i Paesi membri.
In ultimo, quindi, il riarmo senza una maggiore coesione politica – oltre che un’adeguata innovazione istituzionale – non potrà essere foriero di pace. Da un lato, il riarmo condotto su base nazionale spaccherà l’Ue tra Paesi più ricchi e più armati e gli altri, nel contempo il riarmo potrebbe ingenerare una maggiore instabilità andando a innescare una più virulenta corsa agli armamenti. In questa prospettiva, quindi, l’espressione «pace attraverso la forza» è sicuramente infelice. Sarebbe più adatta un’espressione del tipo, «pace attraverso la convinzione», mostrando in questo modo che il fatto di essere convintamente europei sarà il reale meccanismo per garantire sicurezza e pace.