Ma la maturità ancora non fa rima con normalità
sabato 5 febbraio 2022

«Noi adulti dobbiamo considerarci come capitani coraggiosi in questa tempesta, capire che i nostri ragazzi ci vedono al timone di questa nave e che il nostro ruolo è quello di restare al timone. Solo così potranno credere che esiste ancora un domani». Lo ha scritto Alberto Pellai, medico psicoterapeuta dell’Università di Milano, che anche i lettori di Avvenire conoscono bene. Dobbiamo accelerare una risocializzazione degli adolescenti e dei post adolescenti, tornare a considerare le relazioni tra pari per loro decisive, soprattutto dopo un tempo così asfissiante e difficile come quello del 'distanziamento sociale' – frase ossimorica, e contestata in modo definitivo su queste colonne – segnato dalla pandemia. Questa giovane generazione presto sarà adulta, cresciuta in cattività a causa del nemico invisibile. Ma non solo, sarà vissuta in famiglie spesso frammentate, in scuole e università che privilegiano l’informazione a detrimento della formazione. Una generazione che vive in una civiltà che, da tempo, all’ideologia delle certezze e della necessità ha sostituito un più cauto e complesso esercizio interpretativo. I nostri ragazzi si sono dovuti mettere a disposizione del caso, dell’ignoto in una coabitazione creativa con l’inesprimibile, l’indicibile, l’imprevedibile. In questo nuovo contesto, potranno conoscere qualcosa delle cose che li circondano solo nella misura in cui si moltiplicano i loro codici di interpretazione. Ma chi fornisce loro questi strumenti di analisi capaci di distinguere il fenomeno dall’essenza delle cose? Il nostro è un tempo sprovvisto di riti sociali, l’unico sopravvissuto è il catino dello stadio, dove la rabbia viene scaricata socialmente. (Pier Paolo Pasolini docet). L’unico ausilio a disposizione dei giovani per costruirsi un’idea di sé stessi è l’incontro con l’altro, meglio se diverso da sé (per genere, cultura, lingua…) solo così vale il gnothi seautón (conosci te stesso) inciso sul frontone del tempio di Apollo in Delfi, che Socrate fece sua massima preferita.

L’esame di maturità 2022 segna un ritorno alla normalità? E quale normalità? Dopo due anni di didattica a distanza, ritorni in presenza a singhiozzo, distanziamento, mascherina in classe, regole sulle quarantene cambiate cento volte, si può tornare direttamente alla normalità? A mio parere, che è anche parere di insegnante, è la dimostrazione che a molti degli studenti non importa niente.

Bisogna considerare, infatti, che chi farà la maturità quest’anno viene da un triennio condizionato dal Covid. Gli ultimi anni delle superiori, oltre che essere fondamentali per la formazione, sono determinanti per la costruzione dei rapporti sociali. Come si può valutare con delle prove molto simili a quelle pre-pandemiche la preparazione di studenti che hanno passato gli ultimi tre anni più dietro uno schermo che in classe? Gli effetti della pandemia sui più giovani sono noti da tempo: stanchezza, ansia, preoccupazione, depressione. Ma di questo si è parlato e scritto troppo poco. Andava fatto – va fatto – uno sforzo, non basta riempirsi la bocca e dire che la scuola è una priorità. Per la sicurezza in classe non è stato fatto nulla di davvero significativo – niente tracciamento, niente strutture, niente impianti di aerazione – mentre la narrazione ha raccontato l’opposto. Non basta tornare in presenza dicendo che va tutto bene, mentre ogni giorno, per settimane, si sono moltiplicati i casi Covid e il caos, tra quarantene e regole assurde. Ma dove sono gli adulti con il timone in mano? È l’ennesima prova della distanza tra la politica e la realtà.

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