Stiamo vivendo momenti davvero difficili. Non solo per quello che accade sul campo di battaglia, per i lutti, il dolore e le atrocità causate dall’aggressione della Russia all’Ucraina, una guerra che ci ripiomba nei peggiori incubi del Novecento, ma anche dal punto di vista della nostra capacità di capire a fondo e rielaborare quanto sta accadendo. Due sembrano essere i problemi principali. Le emozioni della guerra polarizzano e rischiano semplicisticamente di dividerci tra pacifisti ingenui e patrioti con l’elmetto.
Alimenta l’identificazione nel primo gruppo l’errore di chi, spinto dal sano e legittimo desiderio di vedere la fine del conflitto, scivola sul piano della verità dei fatti e finisce per minimizzare la gravità di quello che sta accadendo mettendo tutto sullo stesso piano. La pace non si ottiene sacrificando la verità. L’aggressione armata contro un altro Stato, che in poco tempo ha creato decine di migliaia di vittime e milioni di profughi è un crimine contro l’umanità.
Ne saranno stati commessi senz’altro altri in altre epoche da altri attori ma questo non deve essere usato per sminuire la gravità di quello che sta accadendo. Dall’altra parte i patrioti con l’elmetto si fanno trascinare emotivamente dalla gravità della situazione finendo per affermare che l’unica via è quella della regolazione definitiva dei conti con il tiranno. Peccato che non siamo più nello scenario, pur terribile, della Seconda guerra mondiale, ma in una fase in cui si fronteggiano potenze nucleari. Dunque è illusorio pensare di poter mettere ko un Paese come la Russia e anche la speranza che prima o poi ci sia un cambio al potere è una speranza tenue. Il livello di reazione degli Stati Uniti d’America e dell’Unione Europea è stato forte come non mai (sanzioni economiche molto dure, fornitura di armi alla resistenza ucraina) ma non si può cadere nell’illusione che l’Ucraina possa sconfiggere sul campo la Russia (seppur per interposta procura).
L’assurdo della strategia della guerra è che spinge i belligeranti a fare più morti, feriti e distruzioni possibili per posizionarsi in condizione di forza ai negoziati per il trattato di pace. Per questo moti- vo, pur non mancando di ribadire con forza le colpe dell’aggressore, bisogna riuscire a trovare prima possibile attraverso i negoziati la via di un cessate il fuoco e di un equilibrio di pace. Se è vero che la pace non è possibile senza giustizia, lo è altrettanto che essa deve avere come caposaldo l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina pur se affiancata da una scelta di neutralità.
Nelle regioni orientali e della Crimea dove le popolazioni russofone sono rilevanti è necessario trovare la via di un’autonomia che blocchi la spirale di odi e violenza e tenga conto dei diritti di tutte le parti. Il rischio è che più poi che prima si arrivi a questo come unico punto possibile, non con la lucidità di chiudere la questione subito ma dopo molto tempo, molto altro dolore e molti altri morti. Il secondo problema è legato al tema dell’energia.
Con grandissima lucidità il segretario dell’Onu António Guterres ha affermato ieri che «la guerra in Ucraina dimostra che la dipendenza dalle fonti fossili sta ponendo la sicurezza energetica, l’azione per il clima e l’intera economia globale alla mercè della geopolitica. Tutti i Paesi devono pertanto fare rapidamente una transizione ben governata verso le energie rinnovabili». Come abbiamo scritto nei giorni scorsi, se fino a prima della guerra le fonti rinnovabili vincevano per motivi climatici, di salute (inquinamento e qualità dell’aria) e costi (sono le meno care).
Oggi si impongono anche per questioni di pace, sicurezza e volatilità dei prezzi. Del tutto miope, incomprensibile e masochista appare dunque che alcuni giornalisti e opinionisti domandino e si domandino se non sarebbe il caso di rallentare la transizione ecologica. Molte famiglie e imprese avevano capito benissimo l’urgenza della transizione e sono già partite per tempo. Chi ha auto elettriche, ibride, plug-in è colpito meno o per nulla dal caro carburante. I pochissimi Comuni già partiti in anticipo con le comunità energetiche che dovrebbero diffondersi rapidamente in tutta Italia, hanno gli strumenti per difendersi dal caro bolletta.
Tante imprese tra le buone pratiche del nostro Paese si sono rese energeticamente indipendenti e autoproducono con le rinnovabili l’energia di cui hanno bisogno. Il governo ha il dovere di spingere sull’acceleratore proprio per liberarci domani e in futuro dalle preoccupazioni sollevate, di nuovo, anche dal segretario dell’Onu. «Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla», ha affermato in passato papa Francesco a proposito della pandemia. È proprio vero. E peggio di questa guerra c’è solo il dramma di non capirne la lezione. Con prudenza, certo, ma anche con determinazione.